Il sole ha già timbrato il cartellino dopo una dura giornata
di lavoro, ed è andato a godersi una meritata notte di riposo
dietro l'orizzonte. Il lavoro è finito anche per l'imbianchino,
che dopo aver stivato bidoni ed impalcature nel Bedford si sofferma
orgoglioso ad ammirare il lavoro eseguito: un granigliato beige
praticamente perfetto, uniforme e regolare come da anni non se ne
vedevano. Ma il buon artigiano non è il solo a rimirare l'eburnea
superficie: nascosta nell'ombra, al riparo di spesse lenti scure, una
misteriosa figura freme pregustando lo scempio di tanta abbondanza.
Niente paura, non si tratta di un romanzo di Stephen King: abbiamo
solo fatto conoscenza con uno degli esseri più strani e misteriosi
che popolano la nostra città. Il graffitista (Homo Murales
Metropolitanus) è specie assimilabile alla chimera e all'araba
fenice: nessuno, a quanto mi risulta, è mai riuscito a vederlo
all'opera, tranne il mio collaboratore Massimo Riserbo che con grande
sprezzo del pericolo ha ritratto un Homo Murales con la bomboletta ancora
calda. La specie in esame si suddivide a sua volta in due rami:
i graffitisti vandali e i graffitisti artisti. I primi aggrediscono
senza pietà muri immacolati, saracinesche e quant'altro con
sigle ripetitive e spesso incomprensibili: grazie a loro la nostra
città è diventata un gigantesco block notes dove si
sprecano utili annotazioni come SEENK, PNC, TOMBO, TCS, SQUAD 38,
ZRAM, NORE e via imbrattando. Suggerirei agli autori di queste sigle
di completare le loro opere con concisi sottotitoli di spiegazione:
se proprio danno dev'essere, che sia almeno comprensibile. Non sono
certo un moralista, ma il vandalismo fine a se stesso non lo sopporto,
specie quando mancano le motivazioni sociali e/o etniche che oltreoceano
hanno dato vita a realtà come la musica rap, la Spray Art appunto,
e in tempi meno recenti la Break Dance. Qui non siamo a New York e non
credo che gli autori dei "graffiti vandali" abbiano problemi
di emarginazione o intolleranza.
Il discorso si rovescia con i mirabili "graffitisti artisti",
e non escludo che si tratti degli stessi vandali in momenti di ispirazione.
Qui l'arte metropolitana trova la sua vera essenza, diventando motivo di
valorizzazione urbana e protesta contro il degrado: vecchie casupole e
capanni abbandonati diventano giganteschi quadri, scorci di colore realizzati
con sopraffina tecnica in aree troppo spesso abbandonate al loro destino.
Valga per tutti l'esempio del murales facilmente rintracciabile in via
Pascoli, a ridosso della ferrovia, realizzato su uno dei tanti orridi
capanni che costellano la zona. I graffitisti più furbi hanno
anche cominciato a lavorare su commissione, decorando in modo impeccabile
diversi stabilimenti balneari e altre attività; questo a dimostrazione
del fatto che si può anche dare sfogo al proprio istinto artistico...
guadagnando! E questa è la strada che consiglio a tutti gli amici
graffitisti: più gratificante e anche meno pericolosa, specialmente
rispetto alle dementi acrobazie necessarie per eseguire i disegni sulla
balaustra del ponte della ferrovia (controllare per credere). Questa volta
la mia disquisizione è stata più seria del solito; sarà per l'amore che
provo per la mia città, sarà perché vedere l'Arte ridotta a teppismo mi
deprime, ma questo mio messaggio l'ho voluto lanciare.
Dr. Danny Irreparabili.