Il magico mondo della discoteca (prima parte)

Nel nostro excursus delle specie umane che popolano la riviera ne abbiamo viste di tutti i colori: il prode portuale e il vanitoso ruffo, il rude metallaro e l'irresistibile birro. Così diversi tra di loro, così apparentemente inconciliabili nelle scelte e negli interessi, hanno in realtà una passione che li accomuna. E in una città dove ci sono più discoteche che rosticcerie la passione di cui sopra non può che essere una: il ballo. Quella della discoteca è una questione che da tempo divide psicologi e sociologi di tutto il mondo: per alcuni è la necessaria valvola di sfogo tramite la quale si smaltiscono le arrabbiature della settimana. Secondo altri è la vetrina ideale di una società dove l'apparire, ormai, prevale largamente sull'essere: tesi condivisibile, visto che nei milletrecento decibel di una discoteca la conoscenza di Goethe e Kafka non è fondamentale. Non per niente i divi delle sale da ballo vi accedono solo quando la musica è cominciata da un pezzo, e si dileguano pochi secondi prima della chiusura, terrorizzati dall'evenienza di dover parlare di cose serie a voce sommessa. Secondo la tesi dell'illustre collega tedesco Hans Friedrich Badalamenti, è il fattore luce a giocare un ruolo determinante nel successo della discoteca: i punti neri e brufoli svaniscono in un istante nel tourbillon visivo della pista, anche se poi la malefica luce di Wood è impietosa nell'esaltare la forfora sulle giacche scure.

La mia personalissima teoria è invece basata su considerazioni di tutt'altra natura: il frequentatore di discoteche (Homo Decibel Assordatissimus) non è altro che un inguaribile, libidinoso, incorreggibile masochista. Non si spiegherebbe altrimenti la capacità di spendere trentamila lire (e più) per passare qualche ora in una ressa incredibile, incanalati in file bibliche per compiere anche le cose più semplici: non bastava, ai nostri autolesionisti, fare la coda per entrare, per bere, per andare in bagno, per prendere il cappotto al guardaroba. Ebbene no, al grido di "facciamoci del male", adesso si fa la fila anche per uscire, grazie alla feroce innovazione della Drink Card o consumazione obbligatoria che dir si voglia. Ma le torture a cui il nostro si sottopone di buon grado non finiscono qui: volete mettere il sottile piacere di sentirsi ronzare le orecchie fino al lunedì mattina? O la goduria in pieno stile roulette russa che può dare il viaggio di ritorno, tra neopatentati, ubriachi e Sedicivalvole lanciati a velocità aeronautiche? E la somma eccitazione derivante dal vedersi il pirla di turno rovesciare lo Scotch & Scotch sulla camicia nuova? E l'estrema beatitudine che può dare la visione della propria Tipo, nel parcheggio del locale, con la portiera ripiegata a portafoglio e lo stereo sparito? Ma la più grande soddisfazione, il Nirvana dei sensi, l'Homo Decibel lo ottiene quando smarrisce il tagliandino del guardaroba: lieto avvenimento che impone l'attesa forzata della dipartita dell'intero locale, personale compreso.

Insomma, come avrete capito la discoteca è un pianeta a sé stante, dove le regole del mondo esterno non hanno più valore e spesso si ribaltano. Dalla prossima puntata cominceremo a scendere nei particolari: armati della solita attrezzatura high-tech (penna e block notes) Massimo Riserbo ed io ci addentreremo nel regno della notte per svelarvi tutto il possibile sul magico mondo della discoteca. Pierre e ballerine, buttafuori e Disc-Jockey, baristi e semplici frequentatori: passeremo tutti al setaccio, in nome della scienza!


Dr. Danny Irreparabili.