Tutti al pub

In principio c'era l'osteria. Un locale rude, sanguigno, dove una clientela rigorosamente maschile trascorreva le serate intorno a miseri tavolini, spesso demoliti durante il classico rito del tresette (busso alla meglio! E giù certi pugni da abbattere un vitello). Unica bevanda consentita, il Sangiovese. Da bersi obbligatoriamente nei piccoli bicchieri di vetro spesso e opaco, magari accompagnato da una bruschetta o un po' di "Fusaia". Veniva sopportato anche il vino bianco, mentre chi si azzardava a chiedere un bicchier d'acqua, o - peggio - di latte, era guardato male per tutta la sera. I coloriti moccoli e gli sputi per terra non facevano certo dell'osteria un locale raffinatissimo, e non c'era quindi da stupirsi se l'unica presenza femminile era costituita dalla moglie dell'oste, che col classico "zinale" e il culone a due piazze distribuiva le comande agli avventori. Il passo avanti si fece col Bar, dove oltre all'imperituro tresette fecero la loro comparsa i diabolici e rumorosissimi flipper. Molto più vasto l'assortimento delle bevande, molto più curato l'ambiente, molto più eterogenea la clientela: non più ritrovo di capifamiglia, ma punto di incontro di giovani, giovanissimi e - udite - donne! Gli sputi per terra calarono drasticamente, non altrettanto i moccoli (che evidentemente si tramandano da padre in figlio) causati da animate discussioni sui cinque argomenti cardine delle classiche chiacchere da bar: politica, calcio, macchine, soldi, donne. Piccola annotazione: se ci fate caso, con qualsiasi tema inizi la discussione, dopo un quarto d'ora al massimo questa si orienterà sull'argomento numero cinque.

La seconda rivoluzione del locale pubblico ebbe luogo, più o meno, venticinque anni fa: un lungimirante riminese portò dall'Inghilterra la secolare cultura del Public House (contratto in Pub), fondando l'ormai mitico Rose&Crown. Da allora il fenomeno non ha conosciuto soste, dando origine ad una serie impressionante di variazioni sul tema, a volte azzeccate, a volte decisamente di pessimo gusto: chi non ricorda gli odiosi Video Pub dei primi anni ottanta, dove eri circondato da monitor che vomitavano senza sosta Clip e pubblicità e partite e ancora Clip e films muti e che due palle. Quando ordinavi un panino era bene aprirlo e controllare che nessuno ci avesse lasciato dentro un telecomando.

Una categoria sopravvissuta alla prova degli anni è quella del Fast Food: destinato ai giovanissimi, questo tipo di locale ha conosciuto momenti di autentica gloria prima che i suddetti giovanissimi si accorgessero di quanto fosse idiota risparmiare tempo nel mangiare, per poi non sapere cosa fare dopo. La mia breve esperienza di frequentatore di Fast Food mi ha lasciato pochissimi ricordi piacevoli, e una quantità industriale di brufoli grossi come melanzane. Un successo non clamoroso ma costante spetta ai Pub per coppie, piccole e calde bomboniere con complici separé e candele ruffiane; qui la musica, l'arredamento e i modi raffinati del personale creano l'ambiente ideale per l'intorto, con un solo problema: il mercoledì la clientela si riduce praticamente a zero, visto che questa serata, da che mondo è mondo, è dedicata alle partite in TV.

Altra variazione sul tema è data agli Horror Pub, tendenza abbastanza recente ma di discreto successo: in questi locali la luce è talmente bassa che le cameriere servono ai tavoli accompagnate da un pastore tedesco, i cocktail vengono miscelati in preoccupanti alambicchi e il titolare, verso le cinque del mattino, va a riposare in un loculo ricavato nel retrobottega. Sconsigliato ai deboli di cuore, questo tipo di Pub propone panini trapassati e long-drinks in putrefazione, il tutto immerso in una colonna sonora ispirata a Suspiria e Phenomena.

Locale privo di una connotazione particolare, ma curiosamente sempre strapieno di gente, è il Pub per ruffi che vediamo illustrato nel disegno: l'attrattiva principale è costituita dai P.R. dei locali più in voga, che come la cometa di Halley si manifestano in periodiche e fugaci apparizioni. Nell'attesa si scaricano sei o sette batterie del cellulare parlando da un angolo all'altro del locale, o ci si allena al dialogo da discoteca cercando di superare con la voce i duecento decibel del tecno-impianto stereo. Un nonnulla se paragonato ai pub con musica dal vivo: gli artisti che vi si esibiscono utilizzano di solito amplificatori di seconda mano, che un tempo venivano impiegati dai Pink Floyd negli stadi: se andate in uno di questi locali abbiate l'accortezza di portarvi dietro un block notes e una penna. Se avete voglia di conversare sarà l'unico sistema possibile.

L'evoluzione del primordiale Public House non ha riguardato solo gli aspetti esteriori, come quelli visti finora, ma anche uno più recondito e tuttavia altrettanto importante: il modo di pagare. Per noi tradizionalisti, abituati a saldare il conto alla cassa prima di uscire, è stato già un piccolo trauma vedere la cameriera col marsupio tattico chiedere i soldi al momento del servizio, nel più puro stile anglosassone. Adesso è stato fatto un ulteriore passo avanti: le ragazze oltre al marsupio, hanno in dotazione anche un marchingegno elettronico che trasmette la comanda direttamente al computer centrale in cucina. Ma la cosa terribile è che paghi al momento dell'ordinazione! La prossima tappa di questa corsa alla novità sarà un microchip inserito nel cervello di ognuno di noi: e allora, ogni volta che penserete: "quasi quasi faccio un salto al Pub" vi dovrete preparare a metter mano al portafoglio.


Dr. Danny Irreparabili.