Il centro di una città è un po' come il cuore di un uomo:
la razionalità e la logica stanno altrove, dove non possono arrivare
i palpiti del sentimento. Col cervello si possono fare affari, si può
speculare, si può pianificare, ma senza il cuore un essere umano
sarebbe un computer, e senza cuore una città sarebbe un ammasso di
cemento e ferro, asettico contenitore di vite. Vi sono, purtroppo, città
che corrispondono a questa descrizione: agglomerati suburbani nati a contorno
e complemento di grandi fabbriche, più formicai che case, più
asfalto che ossigeno. Luoghi dove la memoria storica di un popolo non esiste,
dove ogni scorcio, ogni prospettiva non può apparire che piatta e
scontata, perché prodotta da un calco che non può lasciare
il posto all'emozione. Non è il caso della nostra Città.
Abbiamo la fortuna di vivere in una Rimini che - per quanto discussa e
discutibile per il massacro urbano praticato a mare della ferrovia - possiede
un centro storico di tutto rispetto. E non è necessario essere critici
d'arte o architetti per rendersene conto: come si può non provare
emozione di fronte a monumenti nati prima di Cristo e ancora capaci di
svolgere il loro compito? Com'è possibile non restare disorientati
e incantati dalle sinuose volute di Via Santa Chiara e Via Bertola,
irrazionali eppure affascinanti testimonianze del fatto che forse, un tempo,
la strada più breve non era necessariamente quella retta? Come non
rammaricarsi di fronte alla bellezza incompiuta del Tempio Malatestiano,
come non risvegliare il proprio estro immaginando quale soluzione
architettonica potrebbe completare al meglio le tronche propaggini
della sua facciata? Il centro della nostra città è così,
pieno zeppo di angoli e pertugi tutti da scoprire, ricco di sorprese e regali
per chi ha voglia di andarli a cercare: certe sensazioni si possono provare
solo fra quei muri secolari spessi un metro, camminando su quel porfido antico
che nessun asfalto saprebbe imitare. Provate, una volta, a fermarvi all'inizio
del Corso d'Augusto, dalla parte del Ponte di Tiberio, un sabato pomeriggio
qualsiasi: grazie al lieve dislivello vedrete migliaia di teste muoversi,
quasi ritmicamente, come a seguire una danza rituale, o meglio, come per
entrare in sintonia con le palpitazioni potenti e inspiegabili che provengono
dagli edifici, dalla strada, dall'aria stessa.
I riminesi amano la loro città. Eppure il Centro Storico è
sempre più disertato, specialmente nei giorni - e nelle sere - che
non siano il sabato. Il motivo è da ricercarsi, principalmente, nel
cambiamento di mentalità della gente: oggi vige purtroppo la Cultura
del Tempo Ristretto, e nessuno è più capace di dedicare
(o dedicarsi?) ore preziose al dialogo sommesso, al contatto umano, utilizzando
le proprie gambe come mezzo di locomozione. Il Centro ha un solo, grosso
difetto: è fatto a misura d'uomo. Non accetta la fretta, ripudia le
automobili, invita al sorriso e alla serenità: e forse per questo
piace sempre meno a una generazione incapace di comunicare, che calcola il
tempo in millesimi di secondo e i sentimenti in cavalli vapore. Tutti gli
altri, lasciatemelo dire, sono solo pretesti. Perché è vero
che i parcheggi non ci sono, ma è anche vero che molti riminesi non
devono venire dall'Antartide per recarsi nel cuore della loro Città:
dove non arriva l'auto, arriva la bicicletta, e gli autobus non esistono
solo per trasportare pubblicità. È vero anche che scarseggiano
le iniziative promozionali e culturali, ma sono convinto che un paio di buoni
assessori, se si trattasse la materia in termini commerciali - crudi ma
efficaci - non potrebbero mai tirarsi indietro concedendo un'offerta
inferiore alla domanda. E allora? La Città è nostra, il
Centro ci appartiene, siamo noi che dobbiamo chiedere, e far vedere che
ci siamo: e se un giorno il Centro dovesse morire la colpa sarà
soltanto nostra.
Negozi aperti per tutto il week-end, musei sempre attivi e ben pubblicizzati,
concerti e performances, esposizioni libere dedicate ai giovani artisti,
mercatini serali, scenografie, suggestive soluzioni di illuminazione,
depliants e targhe illustrative dei monumenti, visite guidate, tessere
con condizioni particolari per negozi e punti di ristoro, e via dicendo.
Le soluzioni sono decine, e nessuna tanto onerosa da demolire il bilancio
della nostra amministrazione. Purtroppo non sono assessore, non lo sarò
mai, e non voglio neanche insegnare il mestiere a chi ricopre questa importante
carica. Sono riminese, riminese di professione: e dopo tanti anni che faccio
questo mestiere mi sento in diritto di gridare a gran voce... sperando di
essere ascoltato.
Dr. Danny Irreparabili.