I giorni felici della nostra infanzia avevano un piccolo, inevitabile lato
negativo: la cronica carenza di denaro. Questo problema, che in verità
esiste tuttora, veniva in parte risolto dalla cosiddetta paghetta settimanale:
si trattava di cifre da fame, intorno alle mille lire, ma poiché non
esisteva un sindacato dei bambini dovevamo accontentarci e rinviare a tempi
migliori il rinnovo della piattaforma contrattuale.
Con mille lire alla settimana si andava poco lontano: una volta comprate
le figurine, Topolino, un paio di ghiaccioli e un pallone Super Tele l'esigua
cifra era già esaurita. Andare al cinemino dell'ENAL a vedere qualche
Maciste era roba per soli ricchi, così come era una pia illusione farsi
un giro di Calcinculo; per non parlare poi dei pop corn, dei soldatini, delle
canne per le cerbottane e dei modellini Polistil, che ammiravamo sospirando
per ore intere, il naso incollato alle vetrine dei negozi di giocattoli.
Massimiliano detto Barabba arrotondava la paghetta frugando nella borsetta
della mamma: sistema rapido e tutt'altro che faticoso, ma che gli procurò
massicce dosi di scapaccioni, e in seguito tre anni senza condizionale per
furto con scasso in un appartamento.
Più sicura e più onesta era sicuramente la tecnica di
Marchino, che riceveva trecento lire al giorno dallo zio ricco e cinofilo
per accudire l'amato setter Napoleone; la sua fortuna finì il giorno
in cui lo zio scoprì che Marchino utilizzava il prezioso animale per
fargli trainare la caratella. Anche in quella occasione gli scapaccioni si
sprecarono, ma il mio piccolo amico non si perse d'animo e nell'87 aprì
un negozio di animali che oggi va a gonfie vele.
Limitatamente al mese di giugno c'era anche chi vendeva le ciliegie sottratte
ai contadini in quantità industriali, pure col rischio di una bella
impallinata a sale, e non mancava chi contrabbandava pessima limonata come
nelle strisce di Charlie Brown.
Sandro estorceva qualche spicciolo alla sorella maggiore, con la minaccia
di riferire ai genitori la tresca della suddetta con Giuseppe il benzinaio;
Michele, il più fortunato, giocava a pallone da dio, era stato
acquistato dall'Asar Riccione e la domenica rastrellava sempre qualche
soldino di premio partita. Luca detto Puzzola, ancora più fortunato,
era figlio di un noto avvocato che lo portava a scuola in Mercedes e gli
elargiva qualcosa come trentamila lire al mese: allora se li spendeva
tutti in figurine, adesso in cocaina.
Tutto sommato il sistema più pulito, remunerativo e - perché
no - divertente era quella utilizzato da me e molti altri: la mitica bancarella.
Nelle ore più calde del pomeriggio, quando giocare a calcio sarebbe
stato impossibile anche per un senegalese, si usciva di casa con due sporte
piene di roba e si andava ad aprire il "negozio". L'arredamento,
sobrio e funzionale, constava di alcune cassette della frutta rovesciate,
un paio di scatoloni, delle assi di legno e comuni bossole, sottratte come
al solito ai cantieri della zona. Preparato il banco da esposizione, si
disponeva con cura la mercanzia: l'articolo più comune era senz'altro
il giornalino, ma anche le figurine e i soldatini avevano un buon mercato.
La bancarella più bella e fornita era senza dubbio quella dei fratelli
Giovannini, che vediamo nel disegno: a sinistra Luigi detto Pistone e a destra
Antonio detto Pistolino. Vendevano di tutto, dalle caratelle ricondizionate
ai Super Tele seminuovi, dai Big Jim pensionati alle rane, che rimediavano
dove solo loro sapevano: il loro magazzino figurine era vastissimo e
magnificamente esposto, per non parlare della giornalinoteca assortita
e completa oltre ogni dire. Vediamola nel dettaglio.
Grande catalizzatore dell'immaginario infantile, il giornalino è
forse l'oggetto che - più di ogni altro - ci si aspetta di trovare
in mano a un bambino. Non vivevamo solo di pallone, soldatini e Big Jim:
la lettura di un fumetto era qualcosa di più magico, e sfogliare
avidamente quelle pagine sconosciute era come cercare la chiave di un
paradiso colorato che i grandi non potevano capire. Allora come oggi
il giornalino più diffuso era Topolino, e anche se meno lucido
e meno computerizzato non era poi così diverso da quello attuale:
dietro al successo del personaggio di Walt Disney (anche se bisogna dire
che amavamo di più Paperino, al quale non avevamo nulla da invidiare
in quanto a sfiga) aveva preso vita una sequela di imitazioni più
o meno riuscite, come Trottolino e Trottolone, il piccolo Soldino accompagnato
dalla manesca nonna Abelarda, Cucciolo e Beppe, il diavolo buono Geppo e il
simpatico Tiramolla che se non altro aveva il pregio dell'originalità.
Inoltre casa Disney sfornava pezzi speciali, rari e ambitissimi, per i quali
eravamo disposti a passare un mese intero senza Mottarelli: primo fra tutti
il leggendario Manuale delle Giovani Marmotte grazie al quale imparammo a
distinguere l'ortica, a curarci le croste da soli, a truccarci da indiani,
a trovare il Nord e a costruire le capanne.
Un altro filone fumettistico molto diffuso era quello dei vari Tex, Zagor e
affini: erano destinati a lettori un po' più grandicelli, ma la nostra
avidità ci portava a sfogliare tutto quanto fosse disegnato e non stavamo
a sottilizzare. Da Tex attingevamo soprattutto le colorite espressioni del
protagonista: per un'estate intera ci salutammo dicendo "Come va,
vecchio cammello?" e un pudibondo "Sangue del demonio" prese
il posto di moccoli ben più pesanti. Ricordo l'espressione sorpresa
di mia madre quando un giorno, a pranzo, picchiai un gran pugno sul tavolo
e gridai: "Donna, una bistecca al sangue alta due dita coperta da una
montagna di patatine!". Un ceffone di mio padre mi fece rapidamente
tornare alla realtà e al brodo di verdure.
In quegli anni fece la sua comparsa sulla scena fumettistica un albo al
quale avrebbe arriso un successo clamoroso: si trattava del magnifico Alan
Ford, allora disegnato dal leggendario Magnus, che riservava un'ora buona
di risate a crepapelle, personaggi insoliti, storie assurde e anche qualche
tettina nuda. Anche Alan Ford ebbe un imitatore, nella fattispecie il
discreto Johnny Logan di Romano Garofalo, del quale ricordo con piacere
la Mini Minor targata Rimini.
In tutta sincerità a Thor, Devil e i Fantastici Quattro preferivamo
le storie ben più terrene di Zora & Company: erano i primi fumetti
osé, lungi dall'essere pornografici perché di esplicito c'era
ben poco, ma per noi bambini era il massimo dell'eros. Per leggerli bastava
raggiungere la bancarella di Pistone e Pistolino, che in cambio di venti
figurine ti aprivano le porte del Proibito: ci si divertiva con le farse
da caserma del Tromba e di Primo Fiore, si tremava con le storie di Oltretomba,
si tornava a ridere con Lando e il Montatore, disegnati a immagine e somiglianza
di Celentano e Buzzanca, ma soprattutto ci si innamorava con le avventure di
Zora, Jacula, Maghella, Biancaneve e Messalina.
Grazie a loro imparammo a conoscere le forme misteriose del corpo femminile,
e a muovere i primi, timidi passi verso le nostre coetanee: molto, ma molto
prima della fatidica tempesta ormonale che ci avrebbe travolto con l'arrivo
della pubertà. Infinitamente prima di toccare con mano una donna in
carne e ossa.
Io, poi, sto ancora aspettando.
Dr. Danny Irreparabili.