Ricordi d'infanzia (quinta parte)

Giugno: il mese magico per i bambini di oggi come per quelli di vent'anni fa. Le scuole chiudono i battenti, le cartelle e i grembiuli finiscono in fondo all'armadio, i professori tentano (inutilmente) di rifilare i compiti per l'estate che nessuno si sogna di fare. E le giornate, già di per sé lunghissime, diventano interminabili, autentiche maratone di gioco e divertimento: ai miei tempi, quando le sale giochi non erano ancora state inventate, dopo il calcio, le corse in bici, le guerre con le cerbottane e le partite con le piastre, restava ancora un sacco di tempo da spendere in altri giochi e parecchie zone del corpo da decorare con croste ed escoriazioni. Vado ora a presentarvi un piccolo campionario di questi giochi, che avevano una particolarità in comune: non servivano gettoni né pile, alla faccia dei costosi divertimenti dei ragazzi di oggi.

Le conte
Quasi sempre, prima di iniziare un gioco, si poneva la necessità di dividere la compagnia in due squadre, o - come nel classicissimo nascondino - di stabilire chi doveva "stare sotto". Si procedeva allora con le "cappe", mettendosi in cerchio e buttando da zero a cinque dita al ritmo del mitico Biribim Bum Bam: il più bravo in matematica faceva la somma e iniziava a contare in senso orario o antiorario, a seconda del regolamento adottato. Molto meno usate, anche perché tipicamente femminili, erano altre conte come l'arcinota "Tre civette sul comò" o la demenziale "Ponte Ponente Ponte Pi Tappe Tapperugia". Qualche volta ci concedevamo "Sotto il ponte di Baracca c'è Pierin che fa la cacca", ma solo perché aveva quella nota hard che ci faceva sentire un po' trasgressivi.

Settimana
Attività ludica praticata prevalentemente dalle bambine, vedeva come campo di gioco una griglia numerata disegnata a terra con il gesso. Sulla griglia si lanciava un sasso che andava poi recuperato saltando alternativamente sui due piedi e su uno solo; la Settimana ebbe un periodo di grandissimo successo, tanto che per terra si contavano più campi da gioco che strisce pedonali, e i gessetti - ormai spariti dalla circolazione - si vendevano nelle bancarelle al mercato nero, a prezzi inarrivabili.

Elastico
In questo caso l'attrezzatura di gioco contemplava cinque-sei metri di comune elastico da mutanda, le cui estremità venivano annodate per formare un anello: questo veniva poi teso da due bambine all'altezza delle caviglie, mentre una terza bambina eseguiva una routine di figure prestabilite al centro dell'elastico. Completata la prima serie, si portava l'elastico all'altezza dei polpacci e si ripeteva la routine. Venivano poi le ginocchia, le cosce, le anche e la vita: si racconta che Sonia, la bambina più brava in questa specialità grazie alle gambe lunghissime, riuscì ad eseguire una serie impeccabile con l'elastico alla fronte delle compagne. Si racconta anche che Gianluca, preso in giro da tutti perché giocava a elastico invece che a calcio, grazie a questa propensione riuscì a limonare per la prima volta almeno cinque anni prima di noi.

Quanti passi?
Per lo svolgimento di questo gioco era necessario nominare un bambino al di sopra di ogni sospetto, al quale veniva assegnato il ruolo di "castellano". Tutti gli altri si ponevano a una decina di metri di distanza e, a turno, interrogavano il castellano con la filastrocca: "Quanti passi devo fare se al castello voglio arrivare?". La risposta poteva essere "un passo da gigante, due da leone, dieci da zoppo e cinque da formica". Ma esisteva anche il passo da elefante, da canguro, da bradipo tridattilo, da opossum, e il temutissimo passo da gambero che ti costringeva a retrocedere, e veniva invariabilmente ordinato quando ti trovavi a pochi centimetri dalla meta. Capitava sovente che una tranquilla partita di "quanti passi" si trasformasse in un violento incontro di Wrestling, a causa delle numerose diatribe che nascevano sull'effettiva lunghezza del passo da ciclope, non contemplato dalla H.M.S.F. (How Many Steps Federation).

1, 2, 3, Stella
Un altro gioco che prevedeva una configurazione simile era "1, 2, 3 Stella" detto anche "1, 2, 3 per le vie di Roma". In questo caso chi stava sotto volgeva le spalle ai giocatori, e dopo aver gridato la breve filastrocca si girava di scatto cercando di cogliere in flagrante chiunque accennasse al minimo movimento. Anche in questo caso le risse non si contavano, ed era essenziale non nominare capogioco Alessandro, detto Anfibio perché aveva gli occhi piazzati praticamente ai lati della testa e di conseguenza una inumana capacità di visione posteriore.

Strega comanda colore
In questo caso il capogioco era la "strega", che declamava di volta in volta il colore che poteva salvarci dalle sue grinfie; se la frase era "Strega comanda colore rosso" tutti si avventavano sulla macchina del babbo di Pistone e Pistolino che era una fiammante Opel Manta di un rosso quasi spudorato, e che dopo un'estate di gioco era ormai ridotta a un rottame. Quando la "strega" era Massimo detto Archimede, l'intellettuale del gruppo, erano dolori, perché nessuno aveva idea di cosa fossero il Cremisi, il Fumo di Londra, l'Acquamarina e - soprattutto - il Terra di Siena Bruciata. Poiché non volevamo lasciare nessuno fuori dal gioco, e Andrea era purtroppo daltonico, inventammo una versione di Strega comanda colore apposta per lui, nella quale si giocava col bianco, il nero e una vasta scala di grigi.

Farina
Chiudo questa piccola rassegna ludica con il più truce, il più violento, il più efferato dei giochi infantili: conosciuto in tutta Italia (a Milano, ad esempio, si chiama Madunina) dalle nostre parti prende il nome di Farina, e per parteciparvi occorrono schiena robusta e testicoli d'acciaio. Lo svolgimento del gioco è chiaramente illustrato nel disegno: una delle due squadre si dispone a trenino contro un palo o un albero robusto, e i componenti dell'altra squadra devono, con un salto tipo cavallina, montare sopra agli sventurati. Se la squadra sottostante resiste vince la partita, se crolla perde e si fa la rivincita invertendo le posizioni. Altrimenti si va tutti al pronto soccorso. La nostra formazione tipo, visibile in figura, comprendeva Pistone Giovannini ad albero, grazie alla poderosa struttura e al fetore delle ascelle capace di stendere qualsiasi avversario; io in appoggio tattico-logistico, Caccola mediano di spinta con proiezioni sulla fascia (lombare) e Pistolino Giovannini in zona quattro, perché con le sue costole sporgenti e le scapole alate offriva un appoggio scomodissimo agli avversari. In fase di attacco, con Pistone che incombeva dall'alto dei suoi 92 chili, vincevamo sempre per manifesta superiorità.


Dr. Danny Irreparabili.