Ricordi d'infanzia (sesta parte)

Segnali dapprima deboli, poi via via sempre più acuti e persistenti, indicavano che qualcosa in noi stava cambiando: con sorpresa e un po' di raccapriccio alcuni scoprivano i primi accenni di barba e alcuni solitari peli sul petto; Giovannino detto Tisi riuscì a crescere di venti centimetri in meno di un anno, e Caccola - quando rispondeva al telefono - si burlava di noi imitando alla perfezione il vocione del babbo macellaio. Le mamme, dal canto loro, cominciavano a dare il via libera all'uso dei pantaloni lunghi, che allora erano sinonimo di raggiunta maturità, e in alcuni casi aveva luogo l'attesissimo rito della consegna delle chiavi di casa.

Proprio così: la nostra sfigata ma spensierata infanzia stava lasciando il posto ad un'adolescenza molto meno spensierata ma, in virtù della inevitabile legge di compensazione, enormemente più sfigata. Oltretutto, quelli che erano stati i nostri compagni di giochi finivano mestamente nel dimenticatoio, senza neanche un grazie per le ore felici che avevano saputo donarci: niente più fionde e cerbottane, basta con le caratelle e le bici da cross, c'era nuova vita da vivere e altri interessi da coltivare. Molti di noi abbandonarono la giusta causa dell'amicizia per dedicarsi alle ragazze a tempo pieno e Davide detto Bàgana smise persino di ruttare quando venne informato che questa abitudine non piaceva alle nostre coetanee. Si vociferava addirittura che Pistone Giovannini, in una tiepida mattinata di giugno e con l'aiuto di Zora la vampira, fosse riuscito ad ottenere la sua prima, timida, attesa erezione.

L'unico modo per ritrovarsi e divertirsi tutti insieme, visto che ancora non esisteva la discoteca la domenica pomeriggio e le sale giochi era di là da venire, era aspettare l'arrivo delle giostre: carovane multicolori e rumorose si impossessavano di uno dei tanti campetti di periferia e in un batter d'occhio venivano messi in piedi due dei grandi miti dei nostri anni verdi: l'autoscontro e il calcinculo. Per raggranellare qualche spicciolo, in quei giorni, si gettavano alle ortiche la pigrizia e la dignità, giungendo persino a lavare i piatti e i pavimenti. Ogni lavaggio duecento lire, equivalente a quattro giri di calcinculo o a due di autoscontro.

L'autoscontro, chiamato in gergo "macchinine a scuccio", esercitava ed esercita tuttora quel sottile, perverso fascino del proibito al quale pochi sanno resistere: urtare violentemente le auto per la strada sarebbe a volte un bel passatempo, specialmente per risvegliare dal torpore certi idioti che passano col rosso o ti negano la precedenza. Ma poiché sarebbe una Crociata pericolosa e dispendiosa anzichenò, ecco arrivare in soccorso la vendetta fatta gioco, la valvola di sfogo dei mille frustrati del volante, il gusto dolce dell'incidente senza moduli da compilare: l'autoscontro. Sulla base di una colonna sonora che prevedeva il rigoroso alternarsi di Donna Summer, Giorgio Moroder e gli Alunni del Sole, nonché la struggente Soleado dei Daniel Santacruz Ensemble, bastava infilare il grosso gettone di plastica colorata nella fessura e il gioco cominciava. Dopo un paio di giri di riscaldamento si passava alle vie di fatto, prima con tamponamenti di avvertimento, poi con giocosi arrembaggi laterali, per poi dedicarsi al gran finale fatto di paurosi, ripetuti frontali da antologia.

Le vittime designate dei nostri assalti erano preferibilmente - e c'è bisogno di dirlo? - gli equipaggi femminili, con la vana illusione di riuscire a strappare il numero di telefono una volta scesi dalle automobiline; più spesso si giocava a una versione riveduta e corretta di guardie e ladri, dove "Pistolino" Diabolik veniva braccato, intercettato e fermato (nonché malmenato) dagli agenti a bordo delle volanti. A volte si praticava il "sandwich" (vedi disegno) dove con tempismo e senso della misura uno sventurato equipaggio era fatto oggetto di un devastante urto laterale simultaneo; a questo punto la misura era colma e, dopo alcuni inutili richiami all'altoparlante, eravamo cacciati dall'attrazione con infamia.

Non restava, a questo punto, che dedicarci al Calcinculo. Questa celebre giostra deve il suo nome, un po' volgare ma talmente usato nel gergo infantile da diventare appellativo ufficiale, alla tecnica necessaria per "vincere" il giro successivo: il calciatore, solitamente forte e massiccio, deve sospingere il seggiolino del compagno (mingherlino e leggero) affinché questi possa raggiungere ed afferrare la coda che pende da un sostegno posto a fianco della giostra. Campioni della specialità ancora una volta Pistone e Pistolino Giovannini, che con cento lire riuscivano a girare per un pomeriggio intero nonostante gli sforzi del giostraio che ad ogni loro passaggio sollevava la coda ad altezze impossibili. E loro, invece di trovarsi in difficoltà, si producevano in prese sempre più spettacolari: di schiena, con la bocca, con Veronica figurata, a Paso Doble, con presa di piedi e la testa infilata nel seggiolino, mangiando il gelato, mangiando un piatto di penne all'arrabbiata, dormendo.

Cari, irreparabili amici, con questa puntata finisce la serie dedicata ai ricordi d'infanzia del sottoscritto; mi corre l'obbligo, pur col cuore che trabocca di dolore, di riferirvi una ferale, tragica notizia che mi è appena giunta sotto forma di telegramma. Viene da Dharan Bazar, distretto di Koshi (Nepal), ed è datato 20 giugno 1995: "Ringrazio felice soggiorno asiatico stop. Vinto totocalcio nepalese un milione rupie stop. Potrommi comprare biglietto ritorno stop. Prepara bucatini amatriciana molta pancetta stop. A presto Massimo Riserbo."


Dr. Danny Irreparabili.