L'ultimo hobby di quel mollusco acefalo di Massimo Riserbo si è
rivelato quanto mai deleterio per la psiche del sottoscritto e per l'arredo
della mia casa. Assorto com'ero nell'elaborare una rivoluzionaria teoria
sulle proprietà farmacologiche della Cagnina, ho prestato ben poca
attenzione al transito del demente cosmico davanti al mio studio, in perfetta
tenuta da golf, con tanto di sacca, mazze e cappellino a visiera. Il percorso
della buca otto era stato tracciato nel soggiorno: un "par" quattro
di media difficoltà, con partenza su un pregiato tavolino rococò
e bandierina piantata nel prezioso vaso ming della zia Porfiria. Il primo
drive dell'imbecille ha distrutto, con una serie di rimbalzi da alta scuola
balistica, il lampadario di cristallo, la pendola del '700, l'acquario dei
pesci tropicali, la collezione completa dei Coccodritti e delle Tartallegre
nonché - prima che riuscissi ad abbattere la pallina a fucilate - lo
schermo del televisore.
Ora, chi mi conosce sa benissimo che privarmi della TV quando sta per
andare in onda Juny Peperina inventatutto può rendermi feroce come
un Tirannosauro: in preda ad un attacco di magnanimità, ho però
risparmiato la vita al cerebroleso, limitandomi ad invitarlo a sostituire
il mezzo televisivo. Nel senso che l'ho costretto, per tutta la giornata,
a clonare tutti i programmi TV immaginabili, incastrato in ciò che
restava dell'apparecchio, sotto il tiro incrociato del telecomando e della
doppietta. Solo verso l'una di notte, nel corso di una rozza imitazione
di Selen dal vivo, Massimo è crollato privo di forze, e con lui
la mia speranza di rimandare l'acquisto di un nuovo televisore.
La mattina dopo, in un silenzio surreale, ci siamo dedicati al triste
rituale della rottura dei salvadanai: sommando il contenuto dei due
porcellini, abbiamo ottenuto la rilevante somma di lire
ottantaseimilatrecentocinquanta, un bottone, due graffette,
una spilla da balia e la figurina di Jugovic. Per nostra somma fortuna
quest'ultima era proprio il pezzo mancante della raccolta di Gigi detto
Antenna, nostro abituale fornitore di prodotti Hi-Tech, che non ha esitato
a barattarla con uno splendido Supervision Black Trinitron colorestupore
da quaranta pollici, ultimo grido in fatto di televisori, dotato di
videoregistratore incorporato e tostapane. Certo, niente a che vedere
col nostro vecchio Radiomarelli, che era sì a colori, ma cominciava a
manifestare una certa tendenza Dadaista, dipingendo il cielo di verde
e i volti di un preoccupante azzurro puffo.
E ancora meno a che vedere col CGE della mia infanzia, rigorosamente
in bianco e nero, munito di un alimentatore esterno più duro a scaldarsi
di un diesel: se arrivavi a casa alle otto di sera, accendevi l'apparecchio,
mangiavi, facevi la doccia, ti concedevi una pennichella e verso le nove e
mezza, forse, cominciavi a intravvedere qualcosa nello schermo. I pulsanti
erano in realtà dei cilindri in fusione di ghisa che andavano premuti con
l'ausilio di una mazzetta, e le due sole manopole che ornavano il frontale
erano più un esercizio ginnico per i polsi che un comando di sintonia.
Fortunatamente all'epoca i canali erano soltanto due, e una carrellata
di zapping richiedeva molto meno tempo di adesso; oltretutto sullo schermo
compariva, in basso a destra, una freccina bianca che indicava l'inizio
di un nuovo programma sull'altra rete, e se nessuna delle due trasmissioni
ti piaceva potevi anche andare a letto. Poi fu l'avvento della TV Svizzera
e di Koper Capodistria: facce nuove, programmi nuovi, e - con riferimento
all'emittente slovena - il non trascurabile vantaggio di riuscire a vedere,
di tanto in tanto, un paio di tette. L'arrivo del colore segnò una rivoluzione
nello scenario domestico degli italiani: chi aveva il prodigioso apparecchio
strappava "Oh!" di stupore agli amici in visita, e si organizzavano spesso
riunioni a casa del fortunato come ai tempi di "Lascia o Raddoppia". E grande
era la meraviglia di tutti nel constatare che l'erba dei campi di calcio era
effettivamente verde e non grigia come si era supposto fino a quel momento.
A proposito dei primi passi della TV a colori in Italia, non posso fare a
meno di ricordare le esilaranti "prove tecniche di trasmissione".
Si trattava di lunghe scene senza parole e senza trama, su basi di musica
classica, dove attori spaesati e con facce da branzino si aggiravano in
serre o appartamenti arredati con colori inauditi. Di quando in quando la
telecamera si soffermava ad inquadrare un variopinto vaso di fiori o un
tendaggio fucsia, per poi tornare sui branzini sempre più spaesati.
Uno spasso.
La vera svolta avvenne tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli
Ottanta, con la comparsa delle reti private; la domanda più frequente,
tra i giovani di allora, era: "Ma tu lo vedi Antenna Nord?"
C'era già, in embrione, anche Canale 5, e già allora si
parlava del suo proprietario, un giovane palazzinaro milanese che si era
fatto da solo, un certo Berluscotti. O Berusconi? Boh! Alcuni programmi
di quelle reti sono già passati a far parte del nostro immaginario
collettivo, a cominciare dall'insopportabile sigla dei Rondò Veneziano;
e qual è il trentenne che non ricorda la mitica trasmissione musicale
"Pop Corn", dove c'era il ballerino di colore Russel Russel che
impartiva lezioni di danza? Cominciammo allora ad abituarci alle mitragliate
di spot nel bel mezzo delle trasmissioni: ma quello della pubblicità
in TV è un argomento talmente vasto e interessante che meriterà
un'intera puntata di questa serie.
Per chiudere questa puntata vorrei spendere due righe per l'oggetto-feticcio
della telecultura, il mai troppo odiato telecomando. Nella fattispecie quello
del nostro nuovo Supervision Black eccetera, talmente ricco di funzioni e
complicato che ha più tasti che giapponesi in piazza San Marco.
Sono un ricordo le scatolette nere con i pulsanti dei canali, volume,
luminosità, contrasto e basta: adesso dal telecomando puoi programmare
tutto, persino il compimento dei doveri coniugali. Ci sono tasti per il
televideo, per il satellite, per il videoregistratore, per il decoder: e
tutti così dannatamente piccoli e vicini (nonché identificati
da scritte che sembrano codici fiscali) che per azionarli bisogna prima
allenarsi per due mesi con l'Allegro Chirurgo.
Già solo per accendere l'apparecchio io e Massimo abbiamo dovuto
fare affidamento sul nostro cane Attila, che calpestando casualmente il
tasto giusto ha compiuto il miracolo; ora ci immergeremo nella lettura delle
seicento pagine di istruzioni, e se avremo la fortuna di evitare il pulsante
dell'autodistruzione torneremo tra due settimane per sviscerare
uno dei grandi classici della TV: i cartoni animati.
Dr. Danny Irreparabili.