Cara TV (seconda parte) - I cartoni animati

Una ventina di anni fa, il bombardamento di programmi per ragazzi di oggi era soltanto un sogno: già afflitti dalla penuria di canali, dal deprimente bianco e nero e dall'assenza del videoregistratore, noi bambini di allora dovevamo accontentarci di una programmazione di cartoni animati veramente ridotta all'osso. Gli appuntamenti da non perdere col grande spettacolo dell'immaginario infantile erano praticamente solo due alla settimana: il mitico Braccobaldo Show e il mai dimenticato Oggi Disegni Animati. Il primo andava in onda la domenica pomeriggio subito dopo UFO (il massimo della fantascienza di allora, dove una checca ossigenata cercava di salvare il mondo da dischi volanti che sembravano dei Moulinex): era una compilation di storielle della Hanna & Barbera, dove si esibivano personaggi del calibro di Ernesto Sparalesto, Luca Tortuga, il leone Svicolone - doppiato in dialetto bolognese - e il maestro di cerimonia Braccobaldo Bau che faceva gli onori di casa con una personalissima interpretazione di "Oh my darling Clementine". Facevano le loro prime apparizioni, in questo fortunato programma, anche personaggi che in seguito avrebbero avuto ben più grande successo, come l'orso Yoghi e i Flintstones; e benché l'animazione fosse sommaria e le storie abbastanza idiote, si trattava di capolavori in confronto a quanto veniva propinato nell'altra trasmissione.

"Oggi disegni animati" andava in onda sempre la domenica, ma all'ora di pranzo: per lunghi anni il protagonista principale di questo appuntamento fu, purtroppo, il signor Gustavo. E dico purtroppo perché si trattava di un bruttissimo cartone d'oltrecortina prodotto dalla Hungarofilm con pochissimi mezzi e coi pennarelli razionati: e se oggi penso che non me lo sarei perso per niente al mondo, mi rendo conto di come i tempi siano cambiati. Ma non tutto ciò che veniva dall'Est era da disprezzare: qualche anno dopo l'austerity fin qui descritta arrivò il geniale Professor Baltazar. Un omino piccolo piccolo che, immerso in una fantasmagoria di disegni che suppongo fossero colori, trovava la soluzione ad ogni problema grazie a una macchina miracolosa.

Altre grandi proposte si affacciavano alla ribalta del piccolo schermo, e tra queste anche quelle che ritengo i veri capolavori del cinema d'animazione: i primi Popeye (quelli, per intenderci, in lingua originale), la grandissima Pantera Rosa, Tom & Jerry, e soprattutto i cortometraggi della Warner Bros capitanati dall'esilarante Wilcoyote. Per non parlare di Gatto Silvestro, di Duffy Duck, Bugs Bunny, Porky Pig e tutto il resto dell'allegra brigata, forse gli unici in grado di tener testa - come tecnica di animazione e come divertimento - alle opere di Walt Disney. Il quale Walt Disney ci veniva servito letteralmente col contagocce, giusto a Natale e in poche altre occasioni mamma RAI si ricordava di questi splendidi (ed evidentemente costosi) cartoni animati e ce ne forniva un piccolo assaggio, rimandando poi al Natale successivo il nuovo appuntamento. Se poi eravamo particolarmente buoni e non rompevano troppe statuine del Presepe, avevamo anche la speranza di essere condotti al cinema per gustare le storie di Disney sul grande schermo: storie incredibilmente lunghe e - udite udite - a colori!

Nella seconda metà degli anni settanta trovammo un nuovo inaspettato alleato oltralpe: era il periodo del fortunatissimo Scacciapensieri della TV svizzera, programmino tutto pepe che sapeva offrire il meglio del cartoon internazionale, compresa una sigla che faceva più ridere di tutte le puntate di Gustavo messe insieme. Stavamo cominciando veramente a viziarci e - benché l'infanzia avesse ormai ceduto il passo ad un'adolescenza tutta brufoli e crisi esistenziali - ancora non eravamo consci della rivoluzione televisiva che ci avrebbe investito e sollazzato di lì a poco.

Un attacco a tenaglia senza precedenti, portato simultaneamente dalle superpotenze di Tokio e di Segrate: l'avvento delle reti private, con conseguente aumento della possibilità di zapping, e l'invasione degli incredibili cartoni animati giapponesi. Il colore era ormai una realtà, e l'arrivo di Atlas Ufo Robot, con le sue sfavillanti tinte computerizzate, lasciò tutti di stucco: c'era di che fare indigestione con tutta quella tecnologia, con quel po' po' di battaglie stellari, e coi terribili mostri di Vega descritti da eloquenti sottotitoli in giapponese. Il tutto, meraviglia suprema, mandato in onda quotidianamente: le lunghe settimane di astinenza da cartoni erano ormai solo un lontano ricordo. Ad Atlas Ufo Robot fecero seguito una miriade di automi spaziali più o meno complicati: Mazinga Zeta (assistito da Afrodite che aveva nelle tette le sue armi più pericolose), Daitarn 3, Gundam, Daltanius, Jeeg robot d'acciaio e tanti altri. Tutti con la capacità prodigiosa di partorire grosse quantità di merchandising sotto forma di giocattoli, figurine, magliette, zaini e lecca lecca.

Accontentati i maschietti, venne poi la volta delle bambine. Che furono travolte dalle saghe melense di Heidi prima e di Candy Candy poi; quest'ultima in particolar modo diede due grandi insegnamenti alle fanciulle di allora: primo, mai farsi fare i capelli da un parrucchiere giapponese. Secondo, mai fidarsi delle persone alle quali brillano sinistre stelline negli occhi. Anche in questo caso alle capostipiti fecero seguito altre serie costruite sulla stessa falsariga: Remi (il cui nonno Vitali assomigliava straordinariamente al nonno di Heidi, tanto da accusarlo di poligamia), Belle e Sebastien, Pollyanna (censurato per l'imbecillità del nome) e chi più ne ha più ne metta. Anche in questo caso i cartoni animati si rivelarono una proficua e massiccia operazione commerciale, visto che non c'era bambina che non avesse almeno un gadget di Candy Candy: persino le vendite dell'omonima lavatrice raddoppiarono nel giro di pochi mesi, così come quelle dell'inascoltabile disco della sigla. Talvolta le vicende assumevano toni cupi e tutt'altro che romantici, come nel caso di Lady Oscar, e sembra che più di una ragazzina sia caduta in crisi d'identità grazie a questo genere di storie: ma si sa, quando si tratta di profitto i giapponesi non vanno certo per il sottile.

Vediamo ora una rapida carrellata di cartoni animati del Sol Levante, suddivisi per genere.

I cartoni sportivi.
Chi non ricorda Jenny la tennista, che in una sola azione di gioco faceva - fra sé e sé - dei discorsi che io non riuscirei a fare in mezza giornata? Oppure Mimì Akiwara, la pallavolista che con una schiacciata riusciva a far diventare il pallone una melanzana? O ancora i calciatori Holly e Benij, che evidentemente giocavano su un campo lungo novecento metri, visto che un'azione di contropiede durava una puntata intera e spesso terminava in quella seguente. Senza contare che in Giappone, a quanto pare, i campionati scolastici sono senz'altro seguitissimi: ad una partita assistono più persone che a una finale di Champions League, e gli stadi sono così grandi che il Maracanà, in confronto, è un calciobalilla. Misteri d'Oriente. Il massimo era però il fortissimo Uomo Tigre, protagonista di un cruento cartone sul mondo del Wrestling. A parte la violenza delle scene e le grandi quantità di sangue sparse ad ogni incontro, sorge lecito un dubbio: perché il lottatore, in borghese, era un giovane snello e longilineo, mentre sul ring sembrava il fratello maggiore di Schwarzenegger?

I cartoni musicali.
Due su tutti, uno al maschile e uno al femminile. Il primo era Kiss me Licia, dove furoreggiavano i grandi Bee Hive capitanati da Mirko e Satomi: la musica faceva vomitare, ma in compenso le acconciature non avevano niente da invidiare a quelle dei Take That. Più o meno sullo stesso livello erano Jem e le Olograms, nemiche giurate delle Misfits nonché del buongusto, con dei look a metà tra l'astronauta e la baldracca. Poi c'era una solista, l'incantevole Creamy, che in realtà era la piccola Yu che diventava una bonazza grazie a una magica trasformazione: più o meno come Bunny che diventa Sailor Moon o Pippo che diventa Super Pippo.

I cartoni mitologici.
Come Ken il guerriero o i Cavalieri dello Zodiaco: quest'ultimo in particolare, ha una trama così complicata e contorta che dopo tre puntate ho dovuto alzare bandiera bianca. Tanto di cappello ai ragazzini che non solo capiscono questo genere di storie, ma sanno anche fare un riepilogo completo in meno di mezz'ora.

E inoltre...
Di tutto un po', dal divertente poliziesco Lupin III al demenziale Yattaman, da Carletto principe dei Mostri a Gigi la trottola, da Juni peperina inventatutto a Bia la sfida della magia. Una massa di disegni così vasta e invadente da provocare una vera indigestione anche a chi ama il genere: e così, tra uno zap e l'altro, non posso fare a meno di ricordare com'era bello - in fondo - aspettare per una settimana intera il Braccobaldo Show.


Dr. Danny Irreparabili.