Cento di questi Danny

Tutto cominciò in una tiepida sera d'autunno del 1992, quando mi recai in centro - come facevo una volta alla settimana fin dall'adolescenza - per sottopormi alle cure del mio psichiatra. Completamente distratto da altri pensieri, in particolar modo dalle gambe della commercialista Buonalume che avevo incrociato salendo le scale, entrai nel portone sbagliato: da buon abitudinario mi tolsi la giacca, mi sdraiai sulla superficie orizzontale più simile ad un lettino e iniziai a descrivere la mia ultima eiaculazione precoce. Dopo un buon quarto d'ora, l'uomo che aveva pazientemente ascoltato il mio piccolo dramma mi fece notare che, per quanto solidale, si vedeva costretto a reclamare l'uso della sua scrivania e la pizza al gorgonzola sulla quale mi ero adagiato. Ma certo! Mi ero introdotto nella redazione di Chiamami Città, forse inconsciamente guidato dalla curiosità - tipica di tutti i giovani - di scoprire come è fatto il quartier generale di un giornale: e, onestamente, rimasi un po' deluso dalla mancanza delle telescriventi e dell'ufficio del direttore con le pareti di vetro, che avevo ipotizzato guardando Lou Grant, Mary Tyler Moore e le avventure del mite giornalista Clark Kent.

Il mio interlocutore, un signore elegante dal candido pizzetto, una via di mezzo tra Eugenio Scalfari e Babbo Natale, nello staccarmi la pizza dalla schiena mi chiese gentile: "Posso esserti utile in qualcosa, giovanotto?" Ebbi in quel momento la più brillante intuizione della mia vita: "No, ma... forse io potrei essere utile a voi! Sapete, leggo spesso il giornale, è interessante, pieno di belle foto e begli articoli, è attento ai problemi sociali e all'attualità, e soprattutto va benissimo per fare aeroplanini e barchette di carta! Però, secondo il mio personalissimo punto di vista, c'è poco spazio dedicato alla scienza, e io potrei essere l'uomo che vi manca: dottor Danny Irreparabili, antropologo, sociologo, filosofo, ricercatore, documentarista, cronista, giornalista e centrocampista". La risposta fu delle più incoraggianti: "Odio le persone che parlano troppo. Specialmente quando osano privarmi della mia sacrosanta cena". Seppur con presupposti poco ortodossi, la collaborazione ebbe inizio: reduce da una spedizione sulle Ande volta all'osservazione del gorilla di montagna, non mi fu difficile trasferire le mie conoscenze di naturalista allo studio delle specie umana.

Cominciai così, dal numero uscito il 20 ottobre 1992, a descrivere i soggetti più caratteristici e particolari che popolavano - e popolano - la nostra città: una via di mezzo tra Piero Angela e Cesare Lombroso, insomma. La prima vittima della serie fu l'ormai estinto Ruphus Cellularis, alto e abbronzato, coi capelli lunghi e l'erre moscia, munito di Mercedes e telefono cellulare: il fatto che quest'ultimo antico feticcio oggi sia meno elitario di un frullatore non ha bisogno di ulteriori commenti. Spesso rileggo il mio primo articolo con nostalgia e un po' di tenerezza: un trafiletto piccolo piccolo in fondo alla pagina, con un disegno grande come un francobollo e un uso dell'italiano che avrebbe fatto inorridire anche Biscardi. Ma l'esperimento evidentemente piacque, perché al Ruffo seguirono il Portuale, il Birro, il Bagnino, il Pesarese e una miriade di altri personaggi più o meno maltrattati; col passare del tempo aumentò anche lo spazio a mia disposizione fino a raggiungere la mezza pagina attuale e anche le mie ricerche assunsero maggior respiro arrivando ad abbracciare interi ecosistemi: la discoteca, la spiaggia, la palestra, il pub. Il ghiaccio ormai era rotto, potevo anche permettermi qualche divagazione come l'Oroscopo (divenuto ormai appuntamento fisso) e i racconti brevi: "Che fine ha fatto Mastro Lindo?", "Rudi e il cellulare magico" e il recente "Luca e Cristina, per sempre".

E che dire delle serie sui ricordi d'infanzia, sulle tecniche di seduzione, sulla scienza della compagnia? Senza contare il libro-antologia che uscirà tra pochissimo tempo e conterrà i primi quaranta articoli irreparabili con tanto di disegni e l'introduzione curata da Giampaolo Proni. Permettetemi dunque di annoiarvi per qualche riga, affinché possa dividere queste grandi soddisfazioni con le persone che hanno dato un contributo decisivo al mio lavoro: Chicca e Mora del "Publico", tanto per cominciare, senza i quali forse non sarei mai entrato nella redazione di un giornale; Giuliano, Andrea, Giampaolo, Ivano e tutti i collaboratori di Chiamami Città; Staffy, Rino, Lucone e tutti coloro che in più di un'occasione mi hanno regalato idee decisive per la buona riuscita dei miei scritti; Massimo Riserbo che, nonostante i miliardi di danni cagionati, si è sempre rivelato un collaboratore affidabile; le Galli Sisters e le Silvagni Sisters, preziose consulenti spirituali nei momenti più oscuri; Cinzia, donna dalla grande pazienza, alla quale ho delegato l'ingrato compito di leggere per prima (e commentare senza pietà) tutto ciò che scrivo; Giovanni, Giorgio e rispettive consorti, gestori del pub che per un bel lasso di tempo ho utilizzato come studio e laboratorio; Gianfranco, Vilma, Barbara e Samanta, sempre combattuti tra l'orgoglio di avere uno scrittore in famiglia e la vergogna di avere un figlio (fratello) così deficiente. Voglio chiudere questa lista con un saluto speciale alla fan irreparabile numero uno: una ragazza che ebbi modo di vedere una volta sola, gravemente malata, e alla quale dedicai il mio primo autografo. Enrica adesso non c'è più ma se è vero - come credo - che può leggere queste righe voglio farle sapere che non la dimenticherò mai.

Fra tanti amici era logico che dovessi aspettarmi anche qualche detrattore: un certo "Istrice", indispettito per un mio articolo sull'Homo Titanus, pubblicò su un periodico sammarinese un trafiletto a me dedicato: sì e no venti righe nelle quali il buon roditore riuscì ad infilare più parolacce di quante ne abbia scritte io in quattro anni. Allora seguii il motto dantesco "Non ti curar di lor ma guarda e passa", ed evitai inutili polemiche; a distanza di anni non posso fare a meno di ricordare con un sorriso l'accaduto, e salutare il mio sconosciuto avversario con un ringraziamento per le critiche (sempre costruttive anche se esposte in modo volgare) e il vivo consiglio di tenere a freno gli aculei. E dopo il passato, volgiamo uno sguardo alle prossime novità; oltre al libro di cui già s'è detto, altre succose idee bollono nel calderone irreparabile: si parla già di una festa del giornale, alla quale intendo invitarvi fin d'ora.


Dr. Danny Irreparabili.