Turisti per sbaglio (quarta parte)

La spiaggia, versatile campo di battaglia votato alle più disparate attività, non è più solo il luogo ideale per giocare, passeggiare, leggere e intortare: un'altra consuetudine ha preso piede prepotentemente in questi ultimi anni, complice la riconversione dei mille chioschi dell'arenile in veri e propri ristorantini. Per consumare il pranzo senza muoversi dallo stabilimento balneare, perché è di questo che stiamo parlando, esistono due tecniche fondamentali. La prima, adottata dai più cauti e dai moderati della tintarella, consiste appunto nel lasciare le brandine per recarsi nei ristorantini anzidetti, che sovente associano sedie di plastica e tovagliolini di carta a prezzi da Gran Gourmet. La seconda tecnica è invece la preferita dagli aficionados del sole, che non temono i perpendicolari e cocenti raggi di mezzogiorno, e che pur di non abbandonare nemmeno per un istante l'amato astro si portano il cibo da casa e lo consumano usando la brandina come tavolo.

Massimo ed io, per la verità abbastanza allergici al sole a picco ma attenti cultori di ogni nuova moda, abbiamo optato per la seconda, pericolosa soluzione. E, tanto per non smentirmi, ho nuovamente commesso la dabbenaggine di affidare all'idiota culinario la preparazione del pranzo, concedendogli carta bianca sulla composizione e sulla quantità delle pietanze. Così, mentre dagli zaini altrui fuoriuscivano vaschette di fresca insalata di riso, piccoli panini, frutta in quantità e dissetanti bibite analcoliche, dal grosso contenitore termico trascinato in spiaggia da Massimo faceva capolino il seguente menù:

- Due abbondanti porzioni di peperonata con cipolle e ciccioli.
- Due mastelli di polenta all'uccelletto.
- Fagiolata con le cotiche e zampetti di maiale.
- Come dessert, un bel padellone di sanguinaccio appena fatto.
- Come bibita, una damigiana di Barolo classico Doc.
- Un termos di Vin Brulè (non si sa mai).
- Una scodella di Ciappi al gorgonzola (per Attila).

A parte il fatto che Massimo non è assolutamente in grado di adeguare la sua cucina alle circostanze (ricordo un'imbarazzante cena offerta al rettore dell'Università Islamica di Ankara, in occasione della quale il deficiente preparò dodici portate, tutte a base di vietatissima carne suina), va aggiunto che il medesimo è estremamente permaloso: ogni volta che mi azzardo a rifiutare uno solo dei suoi manicaretti piange, pesta i piedi, si strappa i capelli e tenta il suicidio. Per evitare di sorbirmi tutte queste scenate mi sono armato di infinita pazienza ed ho chiamato a raccolta tutte le mie riserve di succhi gastrici: dopo un'ora ero fermo a metà fagiolata, indeciso se scegliere l'indigestione o la morte di Massimo. Giunto al sanguinaccio e picchiato dal sole più feroce degli ultimi dieci anni, ho cominciato a rivedere tutta la mia vita, fin da quando - bambino - mi nascondevo in bagno per non mangiare il sanguinaccio.

Scolata l'ultima goccia di Barolo ho definitivamente perso i sensi, stramazzando sulla sabbia rovente sotto gli occhi increduli di Massimo intento ad onorare la propria cucina col sesto giro di peperonata. Al mio risveglio, esattamente tre ore dopo lo svenimento, mi sono visto il mio assistente, fresco come una rosa, intento a preparare tutti i canotti e gli ammenicoli gonfiabili che avevamo a disposizione, compresa un'orca assassina a grandezza naturale di recentissimo acquisto. Poiché eravamo sprovvisti di pompe e compressori, mi è sorta spontanea una domanda: "Non avrai mica gonfiato tutta quella roba coi polmoni da formica che ti ritrovi?"
"Non proprio coi polmoni, Danny" è stata la risposta, "semmai con un'altra parte del corpo: sai, la fagiolata stava cominciando a fare effetto e ho unito l'utile al dilettevole!"

In virtù del dogma tramandatoci dalle nostre mamme, che impone un intervallo di tre ore tra il pranzo e il bagno (a prescindere dal fatto che si sia mangiato un ghiacciolo o un elefante arrosto), era finalmente giunta l'ora del contatto col liquido elemento. Massimo Riserbo, che non rinuncia mai a un po' di scenografia, ha voluto a tutti i costi celebrare il varo solenne del nostro glorioso canotto d'altura "Sailor Moon II", in perfetta tenuta di capitano di corvetta con tanto di sciabola d'ordinanza. Dopo una decina di vani tentativi di rompere una bottiglia di Champagne sulle gommose murate del bastimento, l'alto ufficiale ha sentenziato che poteva bastare così e ha mollato gli ormeggi, impettito in un perfetto saluto militare. A me è toccato assoggettarmi alla pantomima vestendo i panni di nostromo, fuochista, secondo ufficiale e mozzo contemporaneamente, per evitare - come al solito - scenate isteriche da parte dell'idiota d'alto mare. Ed ora, mentre con vigorose pagaiate dirigo il vascello verso le colonne d'Ercole (alias le palate del porto) già vedo passarmi davanti agli occhi le scene del prossimo grande successo letterario e cinematografico "Gli ammutinati del Sailor Moon".


Dr. Danny Irreparabili.