Diario del Capitano. Addì 6 agosto dell'anno del Signore 1997.
Quest'oggi la Sailor Moon II, nave ammiraglia della nostra flotta gonfiabile,
ha dovuto capitolare dinanzi al tragico evolversi degli eventi. Dopo aver
faticosamente sedato un tentativo di rivolta da parte di un equipaggio
particolarmente indisciplinato, ho dovuto fronteggiare le forze della natura,
presentatesi sotto forma di una gigantesca onda anomala e di un'ancor più
gigantesca balenottera azzurra. La prima si è abbattuta con grande violenza
sulle pur robuste murate del vascello, mettendo a dura prova il fasciame del
medesimo; a dare il colpo di grazia è stato, pochi minuti più
tardi, l'immane cetaceo, che con una sola sferzata della coda ha aperto nello
scafo una falla di tali dimensioni che ogni tentativo di ripararla si è
rivelato vano. Nell'assistere impotente all'affondamento della nave, ho compiuto
il sacro gesto che ogni comandante è tenuto a fare, inabissandomi con il
mio vascello: ed è solo per un caso del destino che sono sopravvissuto
alla disgrazia; potendo vergare, a Dio piacendo, le meste righe di questo
diario di bordo.
Capitano di Corvetta Massimo Riserbo.
Quello che avete appena letto è il resoconto delle ultime ore di vita
del nostro canotto, nell'interpretazione magniloquente dell'idiota d'altura
Massimo Riserbo; il quale, rincitrullito com'è dall'overdose di film,
cartoni animati e documentari che si spara tutto l'anno, non appena si ritrova
in vacanza fa di tutto per scimmiottare i suoi beniamini a ventiquattro pollici.
Questa volta ha tentato un mix blasfemo tra il capitano Stubing di Love Boat,
il capitano Kirk di Star Trek, il capitano Achab del romanzo di Melville e il
capitano dell'omonima pasta dentifricia, giungendo al tragico epilogo che ora
vado a riassumervi con molta meno enfasi. Tanto per cominciare, l'equipaggio
indisciplinato (cioè io nel molteplice ruolo di nostromo, timoniere e
mozzo) aveva solo manifestato la necessità di espletare un bisognino,
ricevendo in cambio dodici frustate e la minaccia di essere appeso all'albero
maestro per insubordinazione; l'onda anomala era in realtà una leggera
increspatura prodotta dal passaggio di un motoscafo a due miglia di distanza,
sufficiente però a compromettere la stabilità del piccolo natante.
Il gigantesco cetaceo favoleggiato dal deficiente nautico altro non era che
una comune aguglia, pesce diffusissimo nell'Adriatico e conosciuto anche come
beccone o ferroviere. Lungi dal possedere una forza così devastante da
rovesciare un'imbarcazione, il nostro pesciotto è però dotato
di un'appuntita prominenza anteriore sufficiente per provocare gravi danni a
salvagenti, braccioli, palloni e - guarda caso - canotti. Quello che Massimo
non ha scritto è che mentre il natante si andava sgonfiando, il
sottoscritto ha rischiato di morire per asfissia: chi ha buona memoria
ricorderà il metodo usato dal Riserbo per il gonfiaggio, dopo un lauto
pasto a base di peperonata, fagioli e cotiche (e chi non ha né memoria
né intuito può andarsi a rileggere la puntata precedente). Il
fatto che il mio assistente non abbia (purtroppo) tirato le cuoia nell'affondamento
della Sailor Moon trova spiegazione in qualcosa di molto più prosaico del
mistico caso del destino menzionato nel diario di bordo: infatti è
difficilissimo annegare in venticinque centimetri di acqua, specialmente
stando dritti sull'attenti in un perfetto esempio di saluto militare.
Le poche ore di navigazione a bordo della Sailor Moon II non avevano
evidentemente colmato la voglia di Mare di Massimo Riserbo, che una volta
giunto sulla battigia stava iniziando a manifestare il suo disappunto nel
solito, virile modo. Ovvero pestando i piedi, piangendo e chiamando la mamma.
Per risparmiare agli astanti e al sottoscritto il penoso spettacolo, ho soffiato
il naso all'idiota, gli ho preso la manina e l'ho condotto al noleggiatore di
mosconi più vicino. Questi, un tale di nome Noè, dalla lunga barba
bianca e dall'età indefinibile ma sicuramente prossima ai duecento anni,
dietro pagamento anticipato di trecentomila lire ci ha mostrato i gioielli della
sua piccola flotta.
La Niña, vetusto moscone a remi usato probabilmente dagli alleati
durante lo sbarco in Normandia. Era decorato da un elegante motivo a chiazze
bianche su tutta la superficie calpestabile, rivelatesi ad un'analisi
più approfondita una grossa colonia di funghi della pelle.
La Santa Maria, ammiraglia della flotta, un pedalò a quattro posti
in discreto stato di conservazione, con paratie di tela recanti gli sponsor
Cynar, Cedrata Tassoni, Brancamenta e Pennelli Cinghiale.
La Pinta, altro pedalò, ma di ben più recente fabbricazione,
con scaletta di risalita, specchi retrovisori e uno splendido scivolo dinanzi
al quale Massimo è andato in brodo di giuggiole.
Vista la scarsa disponibilità di mezzi a disposizione, la
congruità dell'acconto ormai versato e l'entusiasmo di Massimo per
lo scivolo anzidetto, la scelta non poteva cadere che sulla Pinta; ma dopo
gli entusiasmi iniziali sono arrivati i guai grossi, sotto forma di contusioni
multiple ai malleoli durante i primi, goffi tentativi di pedalata; poi, una
volta giunti al largo, perdita totale di chiavi, accessori vari, denaro e
orologi; frattura scomposta alla mandibola di Massimo per un'errata valutazione
della traiettoria durante un tuffo dal punto più alto del pedalò;
e per finire, inopinata comparsa di un feroce squalo pinna bianca (mai visto da
queste parti) fermamente intenzionato a far merenda col mio assistente. Dopo
l'ora canonica di moscone abbiamo riportato a riva i nostri miseri resti,
cacciando malvolentieri in mano a Noè il saldo di quanto dovuto
(ovvero altre trecentomila cucuzze). E con queste credete che la nostra
voglia di mare sia esaurita? Nossignori, fedeli al motto "Navigare
necesse" vi daremo dimostrazione, nella prossima puntata, che alla
sfiga non c'è mai fine!
Dr. Danny Irreparabili.