Nella puntata precedente abbiamo avuto modo di analizzare compiutamente
la storia della più importante manifestazione canora italiana, il
Festival di Sanremo, che da sempre è anche regina delle classifiche
Auditel, superata solo dai mondiali di calcio, dalla finale di Champions
League, dall'apparizione di Danny Irreparabili al Maurizio Costanzo Show
(quest'ultimo evento solo in proiezione futura, ma crederci non costa nulla).
C'è stato però chi ha creduto nella fondamentale debolezza del
colosso sanremese e ha tentato di intaccarne il monopolio con manifestazioni
più snelle, frizzanti e allegre: in principio fu il Cantagiro, originale
kermesse che aveva il pregio non indifferente di portare i divi della canzone
a casa dei loro sostenitori, spostandosi di città in città in
cortei dove si accalcava più gente che al concerto. Visti i cachet
richiesti dai cantanti di oggi, un meccanismo del genere sarebbe improponibile,
ma per fortuna il buon Vittorio Salvetti ci ha messo una pezza inventando il
Festivalbar, che non è - come si potrebbe credere - una passerella di
cocktails bensì l'unico, vero, degno antagonista di Sanremo. Il curioso
nome deriva dal fatto che un tempo, quando i walkman non esistevano, per i
giovani in vacanza l'unico modo per ascoltare la loro musica preferita era
recarsi al bar della spiaggia, fare la fila davanti all'immancabile juke-box
e infilare una monetina nella magica macchina. Il vincitore del festival quindi
è - o dovrebbe essere - quello che durante l'estate è stato
gettonato più volte, anche se dubito che Salvetti abbia mai avuto
la pazienza di censire tutti i juke-box d'Italia.
La particolarità più gustosa del dualismo Festivalbar-Sanremo
sta nel fatto che uno è l'esatta antitesi dell'altro, ovvero a parte
le sette note, qualche diesis e un po' di bemolle, non c'è niente altro
che li accomuni. All'Ariston si canta rigorosamente dal vivo, ed è uno
spettacolo nello spettacolo vedere i cantanti fare i gargarismi con la pasta
di acciughe, mangiare le mentine con l'imbuto e inventare mille altri sistemi
per preparare al meglio il proprio ferro del mestiere: nella manifestazione
di Salvetti, invece, non solo il play-back è la regola, ma spesso viene
usato in modo scanzonato e del tutto informale dagli artisti in gara: c'è
chi invece di preoccuparsi di seguire il brano col labiale, si limita a lanciare
baci alle fans in delirio, c'è chi sbaglia le pause e le parole, e c'è
anche un falso strumentista che tratta la tastiera come fosse un asse da bucato.
Poco male, perché ai piedi del palco non ci sono distinti signori amanti
del bel canto, e pronti ad inorridire davanti ad ogni stecca ma legioni di
adolescenti che se ne fregano di brani sentiti e risentiti fino alla nausea,
accontentandosi di poter vedere il loro beniamino in carne ed ossa.
Altra differenza sostanziale: al Festival dei fiori le canzoni in gara
devono essere del tutto inedite e non passa anno senza che sorga qualche
caso di plagio, con conseguente (e stucchevole) sequela di denunce e ricorsi,
confronti e smentite. Tutto il contrario del Festivalbar, dove furoreggiano
i cosiddetti remix (o cover che dir si voglia): poiché nella musica,
come in altre forme d'arte, inventare qualcosa di nuovo è molto
difficile, i produttori discografici hanno pensato bene di scavare nel
passato, riesumando grandi classici per proporli ai più giovani
in rielaborazioni house-techno-rap di spesso discutibile fattura. E'
successo per "Every breath you take" dei Police, per "Da
ya think I'm sexy" di Rod Stewart, per "Bohemian Rhapsody"
dei Queen e persino la mitica "Born to be alive" di Patrick
Hernandez, che sembrava inattaccabile dal tempo e dalle mode.
E se a Sanremo la canzone deve restare segreta, pena squalifica, fino
al giorno dell'esecuzione ufficiale, nella kermesse di Salvetti si
ripropongono i tormentoni che hanno sfondato le orecchie e altre parti
del corpo per tutta l'estate, sottofondo inevitabile alle frignate del
figlio del vicino d'ombrellone, alla voce di Marco Magalotti e al richiamo
del venditore di cocco.
Le manifestazioni canore devono essere davvero un bel business, dal
momento che le due fin qui citate sono state seguite da un buon numero
di cloni più o meno riusciti: "Un disco per l'Estate"
è talmente simile al Festivalbar da far pensare a un mai riconosciuto
parto gemellare; il concorso dalle voci nuove di Castrocaro è la sede
più adatta per farsi largo nel mondo della musica e contemporaneamente
fare una bella cura diuretica; lo Zecchino d'Oro lo conosciamo tutti, e
anch'esso è stato clonato da "Bravo Bravissimo" che è
la passerella più adatta per i figli di papà con velleità
da fenomeno da baraccone. Ma il Festival più intelligente di tutti
è quella di Sanscemo, parallelo e speculare di quello di Sanremo,
dove tutti i partecipanti iniziano con la certezza matematica di fare la
figura dei deficienti: esattamente come i loro colleghi più ricchi
e famosi ma, dato da non sottovalutare, con l'attenuante della cognizione
di causa.
Musicalmente vostro
Dr. Danny Irreparabili.