La storia del cartone animato, nella sua accezione televisiva, può
essere tranquillamente suddivisa in due tronconi: questo a causa di un
avvenimento di portata storica destinato a rivoluzionare il concetto di
cartoon e a mutare l'impatto sociale di questo metodo di comunicazione,
solo apparentemente infantile. L'evento in questione è da collocarsi
tra la fine degli anni settanta e l'inizio degli ottanta, e arrivò
come una manna per i nostri giovani occhi avidi di disegni in movimento:
si trattava dei primi cartoni animati giapponesi, Atlas Ufo Robot e Heidi,
per l'esattezza, che univano a sfavillanti colori computerizzati il pregio
non indifferente di andare in onda tutti i giorni. I lungimiranti responsabili
della programmazione non persero tempo ad appiccicare alle due serie altrettante
sigle musicali realizzate per l'occasione, intravedendo nell'operazione un
futuro, ricchissimo business. Così fu per il cornuto robottone della
Toei Animation, le cui gesta furono decantate dai mitici Albertelli &
Tempera nei profondi versi "Manda raggi che sembran fulmini - è protetto
da scudi termici - tra le stelle sprinta e va". Così fu anche per Heidi,
la piccola montanara salutata dalle caprette nella gettonatissima canzone
affidata a Elisabetta Viviani, moglie di Gianni Rivera nonché partner di
Claudio Lippi nell'operetta "No No Nanette".
Fino all'avvento dei primi manga e delle rispettive sigle, il panorama
dei cartoni televisivi lasciava alquanto a desiderare: si schizzava davanti
alla TV, lasciando perdere giochi e compiti, quando aleggiavano le magiche
note della sigla dei Flintstones, o quelle della Warner Bros, c'era chi si
accontentava di Tom & Jerry o del professor Baltazar, e c'era chi amava
farsi del male guardando Gustavo, produzione della Hungarofilm con sigla
bolscevica in tema. La domenica, e soltanto la domenica, ci veniva in soccorso
il cane Braccobaldo, che al grido "Ci siete tutti, ragazzi?" introduceva una
mezzoretta di discreti cartoni animati di Hanna & Barbera. Tutto qui. Per vedere
qualcosa di Walt Disney bisognava aspettare Natale o farsi portare al cinema,
le videocassette erano cosa rara anche in America e un videoregistratore
costava come una formula uno; io avevo un proiettore superotto che richiedeva
dalle due alle quattro ore di preparazione, aveva in dotazione due brevi
avventure di Paperino e - quel che è peggio - sprovvisto di sonoro.
La rivoluzione manga colse me e i miei coetanei già in calzoni lunghi,
con la sigaretta in bocca e più orientati alle tette che ai cartoni
animati: tuttavia nessuno di noi poté resistere all'impetuosa ondata
di colori venuta dal Giappone e decidemmo di comune accordo di prolungare
la nostra infanzia mentale fino a data da destinarsi, per godere di ciò
che era stato negato al momento opportuno. Ma se i manga erano, e sono
tuttora, una gioia per i nostri occhi, altrettanto non si può dire per
le nostre orecchie viziate dai Pink Floyd e dai Dire Straits; visto che
i primi due esperimenti (i succitati Ufo Robot e Heidi) avevano dato
esito positivo, quello di unire una sigla italiana ad ogni cartone
animato giapponese diventò un vizio nazionale.
Così fu per l'interminabile saga di Candy Candy, accompagnata nelle
sue imprese da un sigla interpretata da sedicenti Cavalieri del Re, sigla che
ottenne un successo paragonabile solo a quello di Furia Cavallo del West;
così fu anche per Lady Oscar, virago della corte di Francia, e per Lupin III,
che scomodò nientepopodimeno che Castellina Pasi per il suo motivetto.
I cartoon giapponesi si possono suddividere in gruppi compatti, dove un
personaggio apripista è poi seguito da una serie infinita di cloni più o
meno riusciti; sulla stessa falsariga i produttori italiani duplicarono
poi le sigle, con una sconcertante piattezza di testi e melodie,
basandosi sul seguente schema:
Robot da combattimento & affini.
Quindi Goldrake, Mazinga, Daltanius, Daitarn III, Jeeg, Gundam, con qualche
variazione sul tema come Capitan Harlock, Yattaman e i Cavalieri dello Zodiaco:
serie destinate ai maschietti e quindi accompagnate da sigle pseudo-rockettare.
Animali parlanti & bestie pensanti.
Le cugine Ape Maia e Ape Magà, ad esempio, ma anche Ranatan e le
rane dello stagno; con un cenno particolare al grassissimo gatto Doraemon
e al buffo cane Spank, facilmente riconoscibile per la faccia a forma di
toast, senza dimenticare la cagnolona Belle e il suo padroncino Sebastien.
Gnomi & folletti.
Indimenticabile il principe stellare Chobin, praticamente una pera blu
con i piedi e i capelli, costretto a muoversi a salti per la completa
atrofizzazione degli arti inferiori; degna di nota anche Memole dolce
Memole, gnometta del bosco assai avvezza a intromettersi negli affari
degli esseri umani, spesso con conseguenze catastrofiche. E al gruppetto
voglio aggiungere gli adorabili Schtroumpfs, più noti come Puffi,
piccolo popolo felice nonostante la suprema jella di dover spartire una
femmina sola tra oltre cento maschi. Come noto i Puffi - almeno loro - non
sono giapponesi ma nascono dalla matita del belga Pejo: ma poiché
sono uno degli ultimi esempi di cartone senza occhi a mandorla, un tributo
era più che doveroso.
Cartoni animati sportivi.
Chi non ricorda l'Uomo Tigre, la pallavolista Mimì Akiwara che
aveva un'elevazione di due metri e ottanta e la sua collega Mila che spesso
a muri e schiacciate preferiva i baci del bel Shiro? Grandiosi anche Holly
e Benji, che giocavano a calcio su campi lunghi dai due ai sei chilometri
e Jenny la tennista, capace di farsi più problemi in una partita
che Kafka in tutta la sua vita. Con un piccolo sforzo di fantasia possiamo
inserire nella lista anche il piccolo Sampei, impegnato nella disciplina
Pesca Sportiva.
Ragazze sfigate & vite tormentate.
Oltre alle già citate Heidi e Candy Candy (ma qual'era il nome
e quale il cognome?), non possono mancare in questa rassegna Anna dai
capelli rossi, Georgie e Pollyanna, quest'ultima traviata da un nome
assolutamente idiota, in crudele aggiunta alle mille sfortune preparate
dal destino.
Cartoni animati demenziali.
Dominati da Gigi la Trottola, aspirante giocatore di basket alto circa
sessanta centimetri e con una spiccata attitudine al feticismo, e da
Carletto Principe dei Mostri.
Cartoni animati da combattimento.
Genere abbastanza recente che annovera esibizioni di arti marziali
di eterogenea provenienza: si va da Ken il Guerriero a Streetfighter,
passando da Dragonball e Ninja Turtles.
Ragazzine con superpoteri.
Settore molto gradito agli addetti del merchandising per le infinite
possibilità di vendita di bacchette magiche, anelli fatati,
braccialetti stregati e vario altro ciarpame ispirato alle serie animate.
C'era la piccola Yu che si trasformava nell'incantevole Creamy, cantante
di successo e bonazza non indifferente, c'era Bia e la sfida della magia,
per non parlare di Sailor Moon e delle sue colleghe vestite alla
marinara, dell'extraterrestre Lamù innamorata del suo tesoruccio
Ataru Moruboshi, di Jem e le Holograms, di Juni Peperina inventatutto.
Personaggio ibrido tra questo settore e quello delle vite tormentate,
Licia dolce Licia fu anche uno dei più longevi, nonché
unico esempio di manga trasformato in telefilm. Elemento cardine della
coraggiosa operazione fu Cristina d'Avena, reginetta della sigla da
cartoon nonché ex bambina prodigio dello Zecchino d'Oro, che
ho volutamente lasciato in coda a questo articolo, in omaggio al suo
successo e alle sue indiscutibili capacità canore: a lei dobbiamo
infatti l'esecuzione della quasi totalità delle sigle finora citate,
capolavori imperituri dell'italica tradizione canora.
Tale e tanto è stato il consenso riscosso da Cristina d'Avena
come cantante di sigle, e tanti sono i soldoni entrati nelle casse della
Finivest grazie a lei, che secondo alcune voci di corridoio Berlusconi le
avrebbe demandato l'incarico di comporre il nuovo inno di Forza Italia,
testa di ponte per conquistare i cuori di nuove fasce di elettorato; quindi
i sostenitori di Forza Italia che stiano leggendo queste righe sappiano che
al prossimo comizio del loro leader non dovranno lamentarsi se, con lo sguardo
fiero e la mano sul petto, saranno costretti a intonare: "Siamo i puffi
della Foresta, all'Ulivo farem la Festa!".
Dr. Danny Irreparabili.