Cara TV (diciassettesima parte) - Sigle TV

La storia del cartone animato, nella sua accezione televisiva, può essere tranquillamente suddivisa in due tronconi: questo a causa di un avvenimento di portata storica destinato a rivoluzionare il concetto di cartoon e a mutare l'impatto sociale di questo metodo di comunicazione, solo apparentemente infantile. L'evento in questione è da collocarsi tra la fine degli anni settanta e l'inizio degli ottanta, e arrivò come una manna per i nostri giovani occhi avidi di disegni in movimento: si trattava dei primi cartoni animati giapponesi, Atlas Ufo Robot e Heidi, per l'esattezza, che univano a sfavillanti colori computerizzati il pregio non indifferente di andare in onda tutti i giorni. I lungimiranti responsabili della programmazione non persero tempo ad appiccicare alle due serie altrettante sigle musicali realizzate per l'occasione, intravedendo nell'operazione un futuro, ricchissimo business. Così fu per il cornuto robottone della Toei Animation, le cui gesta furono decantate dai mitici Albertelli & Tempera nei profondi versi "Manda raggi che sembran fulmini - è protetto da scudi termici - tra le stelle sprinta e va". Così fu anche per Heidi, la piccola montanara salutata dalle caprette nella gettonatissima canzone affidata a Elisabetta Viviani, moglie di Gianni Rivera nonché partner di Claudio Lippi nell'operetta "No No Nanette".

Fino all'avvento dei primi manga e delle rispettive sigle, il panorama dei cartoni televisivi lasciava alquanto a desiderare: si schizzava davanti alla TV, lasciando perdere giochi e compiti, quando aleggiavano le magiche note della sigla dei Flintstones, o quelle della Warner Bros, c'era chi si accontentava di Tom & Jerry o del professor Baltazar, e c'era chi amava farsi del male guardando Gustavo, produzione della Hungarofilm con sigla bolscevica in tema. La domenica, e soltanto la domenica, ci veniva in soccorso il cane Braccobaldo, che al grido "Ci siete tutti, ragazzi?" introduceva una mezzoretta di discreti cartoni animati di Hanna & Barbera. Tutto qui. Per vedere qualcosa di Walt Disney bisognava aspettare Natale o farsi portare al cinema, le videocassette erano cosa rara anche in America e un videoregistratore costava come una formula uno; io avevo un proiettore superotto che richiedeva dalle due alle quattro ore di preparazione, aveva in dotazione due brevi avventure di Paperino e - quel che è peggio - sprovvisto di sonoro.

La rivoluzione manga colse me e i miei coetanei già in calzoni lunghi, con la sigaretta in bocca e più orientati alle tette che ai cartoni animati: tuttavia nessuno di noi poté resistere all'impetuosa ondata di colori venuta dal Giappone e decidemmo di comune accordo di prolungare la nostra infanzia mentale fino a data da destinarsi, per godere di ciò che era stato negato al momento opportuno. Ma se i manga erano, e sono tuttora, una gioia per i nostri occhi, altrettanto non si può dire per le nostre orecchie viziate dai Pink Floyd e dai Dire Straits; visto che i primi due esperimenti (i succitati Ufo Robot e Heidi) avevano dato esito positivo, quello di unire una sigla italiana ad ogni cartone animato giapponese diventò un vizio nazionale.

Così fu per l'interminabile saga di Candy Candy, accompagnata nelle sue imprese da un sigla interpretata da sedicenti Cavalieri del Re, sigla che ottenne un successo paragonabile solo a quello di Furia Cavallo del West; così fu anche per Lady Oscar, virago della corte di Francia, e per Lupin III, che scomodò nientepopodimeno che Castellina Pasi per il suo motivetto. I cartoon giapponesi si possono suddividere in gruppi compatti, dove un personaggio apripista è poi seguito da una serie infinita di cloni più o meno riusciti; sulla stessa falsariga i produttori italiani duplicarono poi le sigle, con una sconcertante piattezza di testi e melodie, basandosi sul seguente schema:

Robot da combattimento & affini.
Quindi Goldrake, Mazinga, Daltanius, Daitarn III, Jeeg, Gundam, con qualche variazione sul tema come Capitan Harlock, Yattaman e i Cavalieri dello Zodiaco: serie destinate ai maschietti e quindi accompagnate da sigle pseudo-rockettare.

Animali parlanti & bestie pensanti.
Le cugine Ape Maia e Ape Magà, ad esempio, ma anche Ranatan e le rane dello stagno; con un cenno particolare al grassissimo gatto Doraemon e al buffo cane Spank, facilmente riconoscibile per la faccia a forma di toast, senza dimenticare la cagnolona Belle e il suo padroncino Sebastien.

Gnomi & folletti.
Indimenticabile il principe stellare Chobin, praticamente una pera blu con i piedi e i capelli, costretto a muoversi a salti per la completa atrofizzazione degli arti inferiori; degna di nota anche Memole dolce Memole, gnometta del bosco assai avvezza a intromettersi negli affari degli esseri umani, spesso con conseguenze catastrofiche. E al gruppetto voglio aggiungere gli adorabili Schtroumpfs, più noti come Puffi, piccolo popolo felice nonostante la suprema jella di dover spartire una femmina sola tra oltre cento maschi. Come noto i Puffi - almeno loro - non sono giapponesi ma nascono dalla matita del belga Pejo: ma poiché sono uno degli ultimi esempi di cartone senza occhi a mandorla, un tributo era più che doveroso.

Cartoni animati sportivi.
Chi non ricorda l'Uomo Tigre, la pallavolista Mimì Akiwara che aveva un'elevazione di due metri e ottanta e la sua collega Mila che spesso a muri e schiacciate preferiva i baci del bel Shiro? Grandiosi anche Holly e Benji, che giocavano a calcio su campi lunghi dai due ai sei chilometri e Jenny la tennista, capace di farsi più problemi in una partita che Kafka in tutta la sua vita. Con un piccolo sforzo di fantasia possiamo inserire nella lista anche il piccolo Sampei, impegnato nella disciplina Pesca Sportiva.

Ragazze sfigate & vite tormentate.
Oltre alle già citate Heidi e Candy Candy (ma qual'era il nome e quale il cognome?), non possono mancare in questa rassegna Anna dai capelli rossi, Georgie e Pollyanna, quest'ultima traviata da un nome assolutamente idiota, in crudele aggiunta alle mille sfortune preparate dal destino.

Cartoni animati demenziali.
Dominati da Gigi la Trottola, aspirante giocatore di basket alto circa sessanta centimetri e con una spiccata attitudine al feticismo, e da Carletto Principe dei Mostri.

Cartoni animati da combattimento.
Genere abbastanza recente che annovera esibizioni di arti marziali di eterogenea provenienza: si va da Ken il Guerriero a Streetfighter, passando da Dragonball e Ninja Turtles.

Ragazzine con superpoteri.
Settore molto gradito agli addetti del merchandising per le infinite possibilità di vendita di bacchette magiche, anelli fatati, braccialetti stregati e vario altro ciarpame ispirato alle serie animate. C'era la piccola Yu che si trasformava nell'incantevole Creamy, cantante di successo e bonazza non indifferente, c'era Bia e la sfida della magia, per non parlare di Sailor Moon e delle sue colleghe vestite alla marinara, dell'extraterrestre Lamù innamorata del suo tesoruccio Ataru Moruboshi, di Jem e le Holograms, di Juni Peperina inventatutto. Personaggio ibrido tra questo settore e quello delle vite tormentate, Licia dolce Licia fu anche uno dei più longevi, nonché unico esempio di manga trasformato in telefilm. Elemento cardine della coraggiosa operazione fu Cristina d'Avena, reginetta della sigla da cartoon nonché ex bambina prodigio dello Zecchino d'Oro, che ho volutamente lasciato in coda a questo articolo, in omaggio al suo successo e alle sue indiscutibili capacità canore: a lei dobbiamo infatti l'esecuzione della quasi totalità delle sigle finora citate, capolavori imperituri dell'italica tradizione canora.

Tale e tanto è stato il consenso riscosso da Cristina d'Avena come cantante di sigle, e tanti sono i soldoni entrati nelle casse della Finivest grazie a lei, che secondo alcune voci di corridoio Berlusconi le avrebbe demandato l'incarico di comporre il nuovo inno di Forza Italia, testa di ponte per conquistare i cuori di nuove fasce di elettorato; quindi i sostenitori di Forza Italia che stiano leggendo queste righe sappiano che al prossimo comizio del loro leader non dovranno lamentarsi se, con lo sguardo fiero e la mano sul petto, saranno costretti a intonare: "Siamo i puffi della Foresta, all'Ulivo farem la Festa!".


Dr. Danny Irreparabili.