Nel periodo giurassico della televisione, quando il colore non era alla
portata di tutti e Paolo Bonolis portava ancora i calzoncini corti, un
paio di sorprese giunsero a turbare l'annoiata tranquillità dei
telespettatori dell'epoca: tanto per cominciare un innocuo telefilmettino
alquanto datato, che aveva per titolo "Amore in soffitta" e
raccontava le vicende di una coppia di giovani sposi, che al suo esordio
poteva sembrare del tutto simile ad altre già viste. Ma alla stessa
ora del giorno successivo, il miracolo avvenne: che ci crediate o no,
si trattava del primo caso di telefilm trasmesso quotidianamente,
particolarità destinata a diventare consuetudine. Neanche il tempo di
riprendersi ed ecco arrivare dalla terra di Albione il garbatissimo
"Caro papà", commedia in puro stile anglosassone che alla succitata
quotidianità aggiungeva un'altra, sconvolgente peculiarità: per la prima
volta nella storia del piccolo schermo fu possibile udire le famigerate
risate registrate, oggi onnipresenti, ma all'epoca così irritanti da
creare scompensi psicologici in più di uno spettatore, privato del potere
decisionale di stabilire quando ridere e quando no. I due telefilm appena
menzionati erano le teste di ponte dell'invasione delle Sit-com, o Situation
Comedy, rappresentazioni simil-teatrali di mezz'ora circa basate sugli
equivoci, sulle battute fulminanti, su piccole diatribe familiari e accomunate
dalla caratteristica di essere girati quasi esclusivamente in interni.
Destinate alle famiglie, le sit-com hanno sempre trovato nell'ambiente
familiare una miniera di idee e personaggi con cui riempire le proprie storie:
qualcuno di voi ricorderà, con piacere e un filo di nostalgia, la vicenda
della tribù dei Bradford composta da due genitori più otto
figli (chissà che casino in bagno la mattina), o la saga tenerissima
di "Tre nipoti e un maggiordomo", dove tre viziatissimi virgulti
dovevano cercare nel bonario servitore l'affetto e la comprensione
che lo zio non aveva il tempo di dare loro. Il massimo dello spasso domestico
era garantito dai coniugi Roper, alias George & Mildred, perennemente alle
prese con problemi di intesa sessuale: con una operazione di clonazione assai
frequente nel pianeta sit-com, in seguito i Roper furono promossi al ruolo di
padroni di casa nella prima serie di "Tre cuori in affitto" dove un
bel giovane doveva fingersi omosessuale per coabitare con due ragazze senza
turbare troppo il vicinato benpensante. La stessa tecnica consentì alla serie
"Mary Tyler Moore" di partorire quella intitolata "Lou Grant", entrambe ambientate
nel mondo della carta stampata, e allo strafortunato "Happy days" di dar vita al
telefilm parallelo "Laverne & Shirley", storia di una ragazza molto dritta costretta
dal destino a dividere lo stesso tetto con un'altra molto oca.
Un filone particolarmente prolifico nel settore delle Sit-com è sempre
stato quello dedicato a personaggi di colore: a partire dagli irresistibili
Jefferson, il cui capofamiglia doveva vedersela con le velenose frecciate
della domestica Florence e la completa idiozia del vicino di casa irlandese,
il tutto con la mediazione della moglie Wizzy. Anche i Robinson non erano da
meno, con la differenza sostanziale di uno stuolo di figli da tenere a bada,
cercando di equilibrare la difficile professione di ginecologo con l'ancor
più difficile mestiere di padre. E la situazione diventa ancor
più grave nel recente "Otto sotto un tetto" non foss'altro
per la presenza demenziale dell'occhialuto Steve, personaggio cardine della
serie, la cui eleganza è eguagliata solo da quella di Massimo Riserbo.
E che dire del piccolo Arnold, figlio adottivo di un ricchissimo magnate
bianco, che secondo maligne voci di corridoio era in realtà un nano
di trentotto anni? Ebbe un successo tale che al momento del suo ritiro,
quando i primi capelli bianchi cominciavano a rivelare la sua età
e la sorellastra Kimberly si stava avviando verso la pensione, i produttori
americani pensarono bene di creare un clone (Webster) che però riscosse
molto meno consenso del predecessore. Una menzione particolare merita
"Willy, il principe di Bel Air", telefilm che grazie alle doti multimediali
di Willard Carroll "Will" Smith, (in seguito interprete di Independence Day
e Men in Black) è riuscito a coniugare due mondi apparentemente inconciliabili
come la fiction per famiglie e la musica Hip-hop; questo almeno nella versione
originale, visto che la traduzione italiana dei testi rappati è quanto meno
discutibile.
Un ruolo di tutto rispetto, nell'ambito delle situation-comedy, va ascritto
alle rappresentanti di sesso femminile: due esempi si possono cercare nei lontani
anni sessanta, quando sui piccoli schermi a stelle e strisce furoreggiavano la
genietta Jinny e la strega Samantha. Mentre la prima era condannata dal fato
a vivere dentro una bottiglia (con un evidente risparmio dell'ICI) e per
professione rompeva le uova nel paniere al padroncino Larry Hagman, la seconda
era addirittura sposata con un comune mortale, risolveva ogni problema con
pochi movimenti del naso ma, per contro, aveva una mamma insopportabile e
una figlia pericolosamente munita degli stessi poteri magici.
Meno esoterica ma altrettanto buona, la Francesca Cacace del telefilm "La
Tata" è riuscita a riscuotere un successo enorme su tutte le fasce
di pubblico: piace ai bambini perché è la governante che tutti
vorrebbero, piace alle mamme perché è schietta e sincera, e piace
soprattutto ai papà che minigonne come le sue non ne vedevano dai tempi
di Sabina Ciuffini.
A volte la sit-com esce dagli schemi convenzionali (leggi dalle mura
domestiche) per cercare nuovi spazi: è il caso di "Love Boat", la saga
della nave da crociera più ruffiana del mondo, dove trovare un nuovo amore o
ricucirne uno strappato era più facile che affondare col Titanic. Assistiti
peraltro da un personale di bordo di tutto rispetto, a partire dal capitano
Bellicapelli Stubbing, al barista Isaac, al medico dal quale non mi sarei fatto
curare neanche un raffreddore, per finire con l'ufficiale di crociera Goofer,
brutto come un topo ma in compenso imbranato come un bradipo.
Altro sottogenere inerente all'argomento sit-com è quello che potrei
definire delle comiche moderne, che trova in due personaggi in particolare la
sua più alta espressione: uno era il compianto Benny Hill, che con largo
uso di risate registrate e forme femminili riportò in auge i ritmi e le
gag appartenute ai filmini comici di inizio secolo, ricalcandone persino lo
spassoso effetto di movimento appena accelerato. L'altro - e c'è bisogno di
dirlo? - è il grande Rowan Atkinson, che a dispetto del cognome da alta
profumeria, si è saputo calare nei panni di Mister Bean, l'uomo più idiota
del mondo dopo Massimo Riserbo, ricavando dalla sua faccia di gomma più
miliardi di quanto abbiano fatto molti politici italiani grazie alla
loro faccia da culo.
Dr. Danny Irreparabili.