Cara TV (ventesima parte) - Telefilm

Nel periodo giurassico della televisione, quando il colore non era alla portata di tutti e Paolo Bonolis portava ancora i calzoncini corti, un paio di sorprese giunsero a turbare l'annoiata tranquillità dei telespettatori dell'epoca: tanto per cominciare un innocuo telefilmettino alquanto datato, che aveva per titolo "Amore in soffitta" e raccontava le vicende di una coppia di giovani sposi, che al suo esordio poteva sembrare del tutto simile ad altre già viste. Ma alla stessa ora del giorno successivo, il miracolo avvenne: che ci crediate o no, si trattava del primo caso di telefilm trasmesso quotidianamente, particolarità destinata a diventare consuetudine. Neanche il tempo di riprendersi ed ecco arrivare dalla terra di Albione il garbatissimo "Caro papà", commedia in puro stile anglosassone che alla succitata quotidianità aggiungeva un'altra, sconvolgente peculiarità: per la prima volta nella storia del piccolo schermo fu possibile udire le famigerate risate registrate, oggi onnipresenti, ma all'epoca così irritanti da creare scompensi psicologici in più di uno spettatore, privato del potere decisionale di stabilire quando ridere e quando no. I due telefilm appena menzionati erano le teste di ponte dell'invasione delle Sit-com, o Situation Comedy, rappresentazioni simil-teatrali di mezz'ora circa basate sugli equivoci, sulle battute fulminanti, su piccole diatribe familiari e accomunate dalla caratteristica di essere girati quasi esclusivamente in interni.

Destinate alle famiglie, le sit-com hanno sempre trovato nell'ambiente familiare una miniera di idee e personaggi con cui riempire le proprie storie: qualcuno di voi ricorderà, con piacere e un filo di nostalgia, la vicenda della tribù dei Bradford composta da due genitori più otto figli (chissà che casino in bagno la mattina), o la saga tenerissima di "Tre nipoti e un maggiordomo", dove tre viziatissimi virgulti dovevano cercare nel bonario servitore l'affetto e la comprensione che lo zio non aveva il tempo di dare loro. Il massimo dello spasso domestico era garantito dai coniugi Roper, alias George & Mildred, perennemente alle prese con problemi di intesa sessuale: con una operazione di clonazione assai frequente nel pianeta sit-com, in seguito i Roper furono promossi al ruolo di padroni di casa nella prima serie di "Tre cuori in affitto" dove un bel giovane doveva fingersi omosessuale per coabitare con due ragazze senza turbare troppo il vicinato benpensante. La stessa tecnica consentì alla serie "Mary Tyler Moore" di partorire quella intitolata "Lou Grant", entrambe ambientate nel mondo della carta stampata, e allo strafortunato "Happy days" di dar vita al telefilm parallelo "Laverne & Shirley", storia di una ragazza molto dritta costretta dal destino a dividere lo stesso tetto con un'altra molto oca.

Un filone particolarmente prolifico nel settore delle Sit-com è sempre stato quello dedicato a personaggi di colore: a partire dagli irresistibili Jefferson, il cui capofamiglia doveva vedersela con le velenose frecciate della domestica Florence e la completa idiozia del vicino di casa irlandese, il tutto con la mediazione della moglie Wizzy. Anche i Robinson non erano da meno, con la differenza sostanziale di uno stuolo di figli da tenere a bada, cercando di equilibrare la difficile professione di ginecologo con l'ancor più difficile mestiere di padre. E la situazione diventa ancor più grave nel recente "Otto sotto un tetto" non foss'altro per la presenza demenziale dell'occhialuto Steve, personaggio cardine della serie, la cui eleganza è eguagliata solo da quella di Massimo Riserbo.

E che dire del piccolo Arnold, figlio adottivo di un ricchissimo magnate bianco, che secondo maligne voci di corridoio era in realtà un nano di trentotto anni? Ebbe un successo tale che al momento del suo ritiro, quando i primi capelli bianchi cominciavano a rivelare la sua età e la sorellastra Kimberly si stava avviando verso la pensione, i produttori americani pensarono bene di creare un clone (Webster) che però riscosse molto meno consenso del predecessore. Una menzione particolare merita "Willy, il principe di Bel Air", telefilm che grazie alle doti multimediali di Willard Carroll "Will" Smith, (in seguito interprete di Independence Day e Men in Black) è riuscito a coniugare due mondi apparentemente inconciliabili come la fiction per famiglie e la musica Hip-hop; questo almeno nella versione originale, visto che la traduzione italiana dei testi rappati è quanto meno discutibile.

Un ruolo di tutto rispetto, nell'ambito delle situation-comedy, va ascritto alle rappresentanti di sesso femminile: due esempi si possono cercare nei lontani anni sessanta, quando sui piccoli schermi a stelle e strisce furoreggiavano la genietta Jinny e la strega Samantha. Mentre la prima era condannata dal fato a vivere dentro una bottiglia (con un evidente risparmio dell'ICI) e per professione rompeva le uova nel paniere al padroncino Larry Hagman, la seconda era addirittura sposata con un comune mortale, risolveva ogni problema con pochi movimenti del naso ma, per contro, aveva una mamma insopportabile e una figlia pericolosamente munita degli stessi poteri magici. Meno esoterica ma altrettanto buona, la Francesca Cacace del telefilm "La Tata" è riuscita a riscuotere un successo enorme su tutte le fasce di pubblico: piace ai bambini perché è la governante che tutti vorrebbero, piace alle mamme perché è schietta e sincera, e piace soprattutto ai papà che minigonne come le sue non ne vedevano dai tempi di Sabina Ciuffini.

A volte la sit-com esce dagli schemi convenzionali (leggi dalle mura domestiche) per cercare nuovi spazi: è il caso di "Love Boat", la saga della nave da crociera più ruffiana del mondo, dove trovare un nuovo amore o ricucirne uno strappato era più facile che affondare col Titanic. Assistiti peraltro da un personale di bordo di tutto rispetto, a partire dal capitano Bellicapelli Stubbing, al barista Isaac, al medico dal quale non mi sarei fatto curare neanche un raffreddore, per finire con l'ufficiale di crociera Goofer, brutto come un topo ma in compenso imbranato come un bradipo.

Altro sottogenere inerente all'argomento sit-com è quello che potrei definire delle comiche moderne, che trova in due personaggi in particolare la sua più alta espressione: uno era il compianto Benny Hill, che con largo uso di risate registrate e forme femminili riportò in auge i ritmi e le gag appartenute ai filmini comici di inizio secolo, ricalcandone persino lo spassoso effetto di movimento appena accelerato. L'altro - e c'è bisogno di dirlo? - è il grande Rowan Atkinson, che a dispetto del cognome da alta profumeria, si è saputo calare nei panni di Mister Bean, l'uomo più idiota del mondo dopo Massimo Riserbo, ricavando dalla sua faccia di gomma più miliardi di quanto abbiano fatto molti politici italiani grazie alla loro faccia da culo.


Dr. Danny Irreparabili.