Non contento di aver sfiancato gli ospiti del Bagno Zero col primo torneo
di Beach Volley Stella Alpina, Massimo Riserbo ha pensato bene di rincarare
la dose con un'altra delle sue trovate; approfittando del gruzzoletto di
sessantamila lire ottenuto coi proventi delle affittanze e delle iscrizioni
al torneo, domenica mattina è partito in tromba col suo sulky da carico
alla volta del più vicino supermarket. Dopo una decina di viaggi, e
altrettanti misteriosi scatoloni introdotti a forza nel microscopico cucinotto,
l'imbecille ha indossato la tenuta da Chef de Rang completa di cappellone bianco,
come fa di solito quando si prepara a combinare guai grossi. Io e Ercole Bottazzi,
nel frattempo, avevamo ricevuto dal cerebroleso l'incarico di imbandire una
tavolata per otto, e di consegnare a tutti i clienti degli arcani volantini.
Ercole si è dimostrato maestro nell'arte di arrangiarsi, ciulando due
porte alle cabine del bagno Uno, rivelatesi ideali come tavolo di fortuna; si
è poi procurato sedie e sgabelli con varie scorribande al bar Souvenir,
arrivando persino a sottrarre il sedile della cassa del Delphinarium e lo
scaranino di Pippo. I volantini, scritti a mano da Massimo in perfetto italiano
e con la calligrafia raffinata che gli è abituale, recitavano
testualmente così:
MASIMO E ATILA INVITTANO TUTI I CLIENTI DEL BAGNO ZERO ALA MANGIATA DELL'AMICIZZIA!
SI BEVE, SI CANTA, SI BALA, SI DANZA E CI SI RIEMPIE LA PANZA.
INTERVENITE NUMMEROSI!
Quanto letto aveva scatenato la gioia di tutti gli astanti, compiaciuti per
la cortesia di Massimo e ansiosi di mettere sotto i denti chissà quali
prelibati manicaretti. L'unico preoccupato ero io, che da buon conoscitore
della bestia nonché cavia di tutti i suoi esperimenti culinari, sapevo
a cosa stavamo andando incontro. Pochi minuti prima dell'una Massimo ha fatto
capolino dalla cucina, unto fino al ciuffo, invitando tutti a prendere posto
a tavola, con l'aiuto di un campanaccio da mucca. "Tanto per cominciare
un antipastino, giusto per stuzzicare l'appetito!" L'antipasto secondo
Massimo Riserbo: involtini di speck in salsa piccante, superbamente presentati
immersi in consommé di spremuta di cozze e vongole veraci. Nessuno dei
presenti, per due minuti buoni, ha osato avvicinarsi al padellone, forse per
l'imbarazzo o più probabilmente per il fetore di pesce fradicio che da
esso proveniva. A rompere il ghiaccio ci ha pensato Gei Ar Carugati, che spinto
dai morsi della fame ha fatto un sol boccone di un involtino, stuzzicadenti
compreso, producendosi poi in una serie di curiose smorfie di disgusto
accompagnate da evidente e copiosa sudorazione. Attila e Belle, dopo aver
annusato un involtino depositato nella loro scodella, si sono guardati con
reciproco assenso e sono andati a frugare nel bidone della pizzeria O.K.
alla ricerca di qualcosa di più appetitoso, e verosimilmente più
digeribile. Nonno Carugati ha accampato la scusa dell'ulcera, Ercole ha fatto
sparire la sua porzione nella tasca del chiodo, Emma ha gentilmente offerto al
maritino che, insieme a me e Ulriche, ha ingerito la diabolica pietanza ad
occhi chiusi immaginando - o meglio sognando - una fresca insalata di riso.
Dopo aver depositato sulla tavola quattro bottiglie di vinello giovane,
adatto alla calura estiva (Barolo Gran Riserva 1972), l'idiota gastronomico
si è dovuto assentare per portare a termine la preparazione dei primi
piatti, presentati nel seguente ordine:
- Polenta paesana con fagioli borlotti e salsiccia.
- Gnocchi di patate ai quattro formaggi, con netta prevalenza di gorgonzola,
camembert e formaggio di fossa.
- Trenette al pesto di pregiata fattura, rese ancora più gustose da
una dose di aglio quadrupla rispetto a quanto consigliato dai libri di cucina
e dal buon senso.
In seguito a questa impressionante bordata di calorie, si sono cominciate
a manifestare nei presenti i primi sintomi di malessere: a cominciare dal
vecchio Carugati che ha infilato la testa nella sabbia dichiarando di essere
uno struzzo, per non parlare di Ulriche, che in quaranta minuti ha perso la
qualità muscolare ottenuta in nove anni di palestra, e della povera
signora Emma, che in preda ai fumi del Barolo stava declamando tutti gli
stornelli e le canzonacce da osteria che conosceva. Ercole e Gei Ar, che
stavano cercando di svignarsela alla chetichella, sono stati fulminati da
un'occhiata di Massimo, ritto a bordo tavola con un preoccupante pentolone,
che si è poi lasciato andare anche a una severa cazziata: "Non
vorrete andarvene proprio adesso che c'è il piatto forte?!" Il
piatto forte di Massimo, suo vanto e cavallo di battaglia, nonché mio
incubo e nutrimento coatto quotidiano, è la famigerata peperonata coi
ciccioli, alla vista della quale metà dei commensali è svenuta
e l'altra metà ha rigettato. "Bene, bene! Fate come gli antichi
romani, che alla vista di una pietanza gustosa liberavano lo stomaco per
poterne mangiare di più! Comunque non preoccupatevi, ne ho fatta quasi
dodici chili. Contenti?" Contentissimi. E devo dire che dei dodici chili
di peperonata non è rimasto quasi niente, vuoi perché l'appetito
vien mangiando, vuoi perché - ipotesi più probabile - eravamo
minacciati da Massimo, che armato di mazza da baseball si premurava di
constatare il nostro gradimento.
Notando un certo pallore nel viso degli invitati, lo chef è arrivato
persino a fare ammenda del proprio operato: "Bé, forse il pranzo
non era leggerissimo, ma non vi preoccupate perché adesso ci rinfreschiamo
tutti con un bel dessert!" Macedonia di frutta? Macché! Sorbetto al
limone? Neanche per idea! Cosa c'è di meglio, con quaranta gradi all'ombra,
di una bella fettona di sanguinaccio e di un rinfrescante bicchiere di Vin
Brulé? Alla vista di tanto affronto, Ercole e Gei Ar hanno rotto gli
indugi, e mentre il primo sottraeva al mentecatto la mazza da baseball, il
secondo lo piantava nella sabbia con un pugno a martello di epica violenza.
La sera eravamo tutti belli allineati nel reparto gastroenterologia
dell'Ospedale di Rimini, ognuno con la sua divertente lavanda gastrica
da smaltire; ma a confortarci, e ad alleviare la sofferenza delle nostre
viscere, un pensiero sublime contribuiva a restituirci il sorriso: da
qualche parte, probabilmente in sala rianimazione, un deficiente col
ciuffo e le orecchie a sventola se la stava passando peggio di noi.
Dr. Danny Irreparabili.