Bagno Zero Stella Alpina (quarta parte)

Non contento di aver sfiancato gli ospiti del Bagno Zero col primo torneo di Beach Volley Stella Alpina, Massimo Riserbo ha pensato bene di rincarare la dose con un'altra delle sue trovate; approfittando del gruzzoletto di sessantamila lire ottenuto coi proventi delle affittanze e delle iscrizioni al torneo, domenica mattina è partito in tromba col suo sulky da carico alla volta del più vicino supermarket. Dopo una decina di viaggi, e altrettanti misteriosi scatoloni introdotti a forza nel microscopico cucinotto, l'imbecille ha indossato la tenuta da Chef de Rang completa di cappellone bianco, come fa di solito quando si prepara a combinare guai grossi. Io e Ercole Bottazzi, nel frattempo, avevamo ricevuto dal cerebroleso l'incarico di imbandire una tavolata per otto, e di consegnare a tutti i clienti degli arcani volantini. Ercole si è dimostrato maestro nell'arte di arrangiarsi, ciulando due porte alle cabine del bagno Uno, rivelatesi ideali come tavolo di fortuna; si è poi procurato sedie e sgabelli con varie scorribande al bar Souvenir, arrivando persino a sottrarre il sedile della cassa del Delphinarium e lo scaranino di Pippo. I volantini, scritti a mano da Massimo in perfetto italiano e con la calligrafia raffinata che gli è abituale, recitavano testualmente così:

MASIMO E ATILA INVITTANO TUTI I CLIENTI DEL BAGNO ZERO ALA MANGIATA DELL'AMICIZZIA!
SI BEVE, SI CANTA, SI BALA, SI DANZA E CI SI RIEMPIE LA PANZA.
INTERVENITE NUMMEROSI!


Quanto letto aveva scatenato la gioia di tutti gli astanti, compiaciuti per la cortesia di Massimo e ansiosi di mettere sotto i denti chissà quali prelibati manicaretti. L'unico preoccupato ero io, che da buon conoscitore della bestia nonché cavia di tutti i suoi esperimenti culinari, sapevo a cosa stavamo andando incontro. Pochi minuti prima dell'una Massimo ha fatto capolino dalla cucina, unto fino al ciuffo, invitando tutti a prendere posto a tavola, con l'aiuto di un campanaccio da mucca. "Tanto per cominciare un antipastino, giusto per stuzzicare l'appetito!" L'antipasto secondo Massimo Riserbo: involtini di speck in salsa piccante, superbamente presentati immersi in consommé di spremuta di cozze e vongole veraci. Nessuno dei presenti, per due minuti buoni, ha osato avvicinarsi al padellone, forse per l'imbarazzo o più probabilmente per il fetore di pesce fradicio che da esso proveniva. A rompere il ghiaccio ci ha pensato Gei Ar Carugati, che spinto dai morsi della fame ha fatto un sol boccone di un involtino, stuzzicadenti compreso, producendosi poi in una serie di curiose smorfie di disgusto accompagnate da evidente e copiosa sudorazione. Attila e Belle, dopo aver annusato un involtino depositato nella loro scodella, si sono guardati con reciproco assenso e sono andati a frugare nel bidone della pizzeria O.K. alla ricerca di qualcosa di più appetitoso, e verosimilmente più digeribile. Nonno Carugati ha accampato la scusa dell'ulcera, Ercole ha fatto sparire la sua porzione nella tasca del chiodo, Emma ha gentilmente offerto al maritino che, insieme a me e Ulriche, ha ingerito la diabolica pietanza ad occhi chiusi immaginando - o meglio sognando - una fresca insalata di riso.

Dopo aver depositato sulla tavola quattro bottiglie di vinello giovane, adatto alla calura estiva (Barolo Gran Riserva 1972), l'idiota gastronomico si è dovuto assentare per portare a termine la preparazione dei primi piatti, presentati nel seguente ordine:
- Polenta paesana con fagioli borlotti e salsiccia.
- Gnocchi di patate ai quattro formaggi, con netta prevalenza di gorgonzola, camembert e formaggio di fossa.
- Trenette al pesto di pregiata fattura, rese ancora più gustose da una dose di aglio quadrupla rispetto a quanto consigliato dai libri di cucina e dal buon senso.

In seguito a questa impressionante bordata di calorie, si sono cominciate a manifestare nei presenti i primi sintomi di malessere: a cominciare dal vecchio Carugati che ha infilato la testa nella sabbia dichiarando di essere uno struzzo, per non parlare di Ulriche, che in quaranta minuti ha perso la qualità muscolare ottenuta in nove anni di palestra, e della povera signora Emma, che in preda ai fumi del Barolo stava declamando tutti gli stornelli e le canzonacce da osteria che conosceva. Ercole e Gei Ar, che stavano cercando di svignarsela alla chetichella, sono stati fulminati da un'occhiata di Massimo, ritto a bordo tavola con un preoccupante pentolone, che si è poi lasciato andare anche a una severa cazziata: "Non vorrete andarvene proprio adesso che c'è il piatto forte?!" Il piatto forte di Massimo, suo vanto e cavallo di battaglia, nonché mio incubo e nutrimento coatto quotidiano, è la famigerata peperonata coi ciccioli, alla vista della quale metà dei commensali è svenuta e l'altra metà ha rigettato. "Bene, bene! Fate come gli antichi romani, che alla vista di una pietanza gustosa liberavano lo stomaco per poterne mangiare di più! Comunque non preoccupatevi, ne ho fatta quasi dodici chili. Contenti?" Contentissimi. E devo dire che dei dodici chili di peperonata non è rimasto quasi niente, vuoi perché l'appetito vien mangiando, vuoi perché - ipotesi più probabile - eravamo minacciati da Massimo, che armato di mazza da baseball si premurava di constatare il nostro gradimento.

Notando un certo pallore nel viso degli invitati, lo chef è arrivato persino a fare ammenda del proprio operato: "Bé, forse il pranzo non era leggerissimo, ma non vi preoccupate perché adesso ci rinfreschiamo tutti con un bel dessert!" Macedonia di frutta? Macché! Sorbetto al limone? Neanche per idea! Cosa c'è di meglio, con quaranta gradi all'ombra, di una bella fettona di sanguinaccio e di un rinfrescante bicchiere di Vin Brulé? Alla vista di tanto affronto, Ercole e Gei Ar hanno rotto gli indugi, e mentre il primo sottraeva al mentecatto la mazza da baseball, il secondo lo piantava nella sabbia con un pugno a martello di epica violenza. La sera eravamo tutti belli allineati nel reparto gastroenterologia dell'Ospedale di Rimini, ognuno con la sua divertente lavanda gastrica da smaltire; ma a confortarci, e ad alleviare la sofferenza delle nostre viscere, un pensiero sublime contribuiva a restituirci il sorriso: da qualche parte, probabilmente in sala rianimazione, un deficiente col ciuffo e le orecchie a sventola se la stava passando peggio di noi.


Dr. Danny Irreparabili.