Danny Irreparabili

Racconto di San Valentino

Quella sera al Parapiglia c'era più ressa del solito: pressato come una sardina in mezzo a un marasma di ragazzotte troppo profumate, giacche piene di forfora e cellulari impazziti, Massimo rispettava diligentemente la lunga coda che l'avrebbe portato alla coda successiva, quella del guardaroba. Ci sarebbe stato anche una settimana, in quelle condizioni, forse anche un mese intero: d'altra parte, per riuscire a vedere "lei", nessuno sforzo sarebbe stato eccessivo.

"Lei" era Gloria, una bellezza da togliere il fiato, un po' P.R. e un po' ballerina, in ogni caso costretta ad un impiego molto più umile di quello che il suo aspetto le avrebbe consentito. Ogni particolare della sua persona sembrava progettato da un occulto architetto col preciso intento di far impazzire gli uomini: i suoi capelli erano volute di preziosa seta nera, gli occhi avevano il colore del mare, le gambe sembravano non finire mai, il seno prosperoso eppure naturale poteva far dubitare chiunque dell'effettiva esistenza della forza di gravità.

Gloria era consapevole della propria bellezza e non faceva assolutamente niente per nasconderla: spesso le sue minigonne non arrivavano là dove riuscivano ad arrivare i capelli, per non parlare di quei maliziosi tacchi a spillo che ti si conficcavano dritti nel cuore e portavano la sua bocca talmente in alto che neanche il più prestante dei buttafuori sarebbe riuscito a baciarla senza alzarsi in punta di piedi. Quando Gloria non ballava sui cubi blindati del Parapiglia, si aggirava per il locale scortata da almeno due uomini della sicurezza, parlava solo con le colleghe e con poche, selezionatissime persone, e a volte si infilava nel camerino per delle mezz'ore a fare chissà che, sempre seguita dagli sguardi morbosi di tutti i clienti della discoteca.

Massimo non era certo quello che si può definire un Adone: aveva cominciato a perdere i capelli già a vent'anni, e ora che aveva passato la trentina, gli restavano in testa solo pochi, coraggiosi, superstiti. Gli occhiali dall'antico disegno e le orecchie un po' a sventola completavano il quadro che Massimo non cercava di ravvivare neanche coi vestiti, sempre tristi e trascurati. Sulla carta non avrebbe mai avuto speranze di conquistare Gloria, vista la nutrita concorrenza di ballerini, figli di papà e miliardari che a gruppi di sei alla volta cercavano di sfondare il muro dei Security per scambiare almeno quattro chiacchiere con la splendida giovane. Eppure da almeno un anno, Massimo non mancava un sabato sera al Parapiglia, quasi sempre in perfetta solitudine, col preciso obiettivo di appoggiarsi a una colonna e, drink in una mano e sigaretta nell'altra, ammirare per ore le movenze feline della sua Gloria.

Non aveva nessuna fretta, l'uomo; era spinto da una forza interiore superiore alla noia e alla sua stessa volontà: sapeva che prima o poi, in base a qualche fortunato concatenarsi di eventi, sarebbe stato premiato. In un anno intero era riuscito solo una volta ad avere con Gloria un contatto che non fosse solo visivo: mentre era appoggiato al banco del bar, impegnato a torturare la drink card nell'attesa di essere preso in considerazione dal barista, si trovò fianco a fianco con la ragazza e i suoi inseparabili gorilla. Raccogliendo tutto il coraggio che l'imprevista situazione gli consentiva, balbettò qualcosa come "Ciao mi chichiamo Mamassimo posso offrirti dada bebere?". Intenerita e forse incuriosita, Gloria accennò una risposta, stroncata sul nascere dall'arrivo dell'insopportabile e petulante Direttore Artistico. "Magari un'altra volta", riuscì a capire Massimo mentre i quattro si stavano dirigendo a grandi passi verso il privée. E sostenuto dalla speranza che questa frase gli aveva dato, passava le sue serate ad aspettare che "quella" volta arrivasse. In fondo, era solo questione di tempo.

Quella sera però, Massimo avrebbe avuto una sgradevole sorpresa: le ballerine c'erano tutte, e anche più svestite del solito, ma, per quanto si sforzasse di cercare tra la folla, non trovò traccia della "sua" Gloria. Si precipitò al bar a chiedere spiegazioni a Gianni, il dipendente meno antipatico del Parapiglia, che trattenendo le lacrime mise Massimo al corrente dell'accaduto:
"Temo proprio che la nostra Gloria non la vedremo più... almeno qui dentro!"
"Non l'avranno mica mandata via? È la migliore di tutte!"
"Peggio. Molto peggio: martedì sera era in macchina con dei suoi amici... stavano andando a Bologna, credo, e a un certo punto quello che guidava si è distratto o si è addormentato, e l'auto è andata fuori strada. Un casino, tutti e cinque all'ospedale con almeno un osso rotto ciascuno. Gloria ha avuto un trauma cranico, e i medici temono che possa perdere la vista. Se vuoi andare a trovarla è all'ospedale di Forlì, in rianimazione: salutala anche da parte mia".
Non era neanche l'una, e Massimo prese la via dell'uscita mentre una marea di persone ancora doveva entrare. Non poteva far altro che pensare alle parole di Gianni, e guidò la sua Renault 4 fino a casa in modo assolutamente meccanico.

Alle sette di domenica mattina, Massimo era già in piedi, cosa questa che non gli succedeva da tempo immemorabile e, senza porsi troppe domande, partì alla volta di Forlì; non prima però di aver frugato tutta la città alla ricerca di un regalo da portare a Gloria. Giunto all'ospedale, trovò fuori della camera della giovane almeno una decina di persone che aspettavano il loro turno per entrare: erano tutte facce più o meno conosciute, tutta gente del Parapiglia, ma Massimo rispettò il generale silenzio e non rivolse la parola a nessuno. Anzi, si spostò verso la finestra in fondo al corridoio, con in mano quel pacchetto che - pensò lui - era ben poca cosa davanti ai giganteschi mazzi di fiori portati da tutti gli altri.

Venne anche il suo momento e, entrando, vide Gloria con la testa completamente fasciata, la mano sinistra ingessata e due tamponi sugli occhi. Si sedette. "Ciao, Gloria" disse banalmente Massimo, meravigliandosi, però, di come riuscisse a non balbettare.
"Ciao... tu chi sei?"
"Diciamo un ammiratore. Se anche ti dicessi Massimo Bianchi non ti ricorderesti comunque di me. Erano secoli che speravo di poter parlare con te e mi dispiace doverlo fare in questa circostanza schifosa. Tieni... ti ho portato un piccolo pensiero."
Massimo scartò accuratamente il pacco e ne estrasse un carillon che sistemò sul letto, alla portata della mano destra della giovane. Tastando l'oggetto, Gloria riuscì ad aprire il coperchio, e subito una nenia struggente e dolcissima riempì la stanza e il suo cuore.
"Che bella idea... Grazie, Massimo!" disse lei, mentre una lacrima sfuggita alle bende le rigava la guancia.
"Tutti ti hanno portato dei fiori, e quando potrai vederne i colori forse saranno già appassiti. Io ho pensato di regalarti il suono della mia voce e questo carillon per sostituirla quando non ci sarò". L'uomo si stupì del tono della propria voce, caldo e carezzevole come mai era stato prima, e ora che Gloria era lì, indifesa come un gattino, non aveva più paura di mostrare il proprio aspetto. Le parlò per quasi un'ora, si fece raccontare problemi e turbamenti, la fece sfogare, ridere, piangere, arrabbiare, sognare. E quando lui fece cenno di andarsene, Gloria gli prese la mano dicendo: "No, Massimo, rimani ancora un po'!"

Da quel giorno in poi i due diventarono inseparabili, e mentre le visite dei cosiddetti amici si diradavano sempre di più, lui faceva da guida, angelo custode, fattorino e confessore; ogni giorno le leggeva i quotidiani, le comprava i dischi che preferiva, la domenica commentava i gol e se il tempo lo permetteva la portava a fare due passi all'aria aperta. Tre settimane dopo, Massimo e i pochi familiari di Gloria vennero convocati dal primario del reparto che con tono estremamente serio li mise al corrente della situazione: "La frattura della mano si sta risaldando nel migliore dei modi e non è fonte di preoccupazione; il forte colpo ricevuto alla testa ha causato una cecità che potrebbe essere temporanea come permanente: oggi pomeriggio toglieremo i bendaggi e lo sapremo".

"Che fare?", pensò Massimo tra sé, "svanire nel nulla e lasciare a Gloria un bel ricordo senza volto, o restare e darle una delusione, per non dire uno spavento? Potrei continuare a sentirla, magari solo per telefono... No, non se ne parla: rimango, e succeda quello che deve succedere!"
L'uomo assistette all'operazione un po' in disparte e in religioso silenzio, come del resto tutti gli altri presenti. Il grido di gioia della ragazza, che una volta liberata dalle bende era tornata nel mondo della luce, fu per Massimo un contraddittorio messaggio di felicità e condanna, ma amava più Gloria che se stesso e si avvicinò ugualmente a lei per abbracciarla.
"Tu sei Massimo, vero?"
"Sì, Gloria, sono io. Forse non sono come ti aspettavi, ma voglio dirti lo stesso che in questi ultimi giorni la mia ragione di vita sei stata tu. Ora non hai più bisogno dei miei occhi per vedere, posso anche togliere il disturbo. Addio e... abbi cura di te!"
"Aspetta, non te ne andare! Ho qui un regalo per te!"
La giovane tirò fuori dal comodino il carillon e lo aprì, e senza aggiungere altre parole avvicinò le sue labbra a quelle di Massimo, baciandolo con tutto l'amore di cui era capace.


FINE


Dr. Danny Irreparabili.