Come eravamo (sesta parte) - Il culturista

Che ne è stato di quelle belle palestre di una volta, templi al sudore e alla fatica, che sembravano uscire da un libro sulla civiltà spartana? Chiudo gli occhi e mi sembra ancora di vedere i rozzi dischi di ghisa, i gloriosi bilancieri arrugginiti, le panche dall'imbottitura approssimativa, le coppie di manubrioni da quarantasei chili che solo a guardarli, nella loro nera mole, sembravano una sfida silenziosa alla tua potenza e alla stessa forza di gravità. Mi tappo le orecchie e sento echeggiare le urla, belluine e sublimi insieme, dell'ultima ripetizione, quella che ti prosciuga tutto il glicogeno, ti spara nei muscoli bordate di acido lattico, spreme la più nascosta delle fibre, insomma ti fa diventare veramente grosso.

E non posso che rimpiangere tutti gli arnesi infernali che a prima vista potevano sembrare macchine da tortura mutuate dalla Santa Inquisizione, ma che in realtà erano simbolo ed essenza della cultura fisica: come i ganci di acciaio e cuoio che aiutavano nelle trazioni alla sbarra, la stessa sbarra che troneggiava minacciosa in fondo alla palestra, i cinturoni alti venti centimetri che nello squat evitavano di farti schizzar via i reni come lupini dalla buccia, e nei tricipiti alle parallele diventavano l'attacco ideale per decine di chili di pesi aggiuntivi, come se il tuo stesso peso non fosse già sufficiente a farti urlare di dolore. I culturisti di una volta erano così: forse masochisti e anche un po' esibizionisti, ma dotati di una disciplina e una motivazione a prova di bomba, e della ferrea volontà di raggiungere un obiettivo magari lontano ma non per questo irrealizzabile. Non si parlava di Fitness, allora, né di comune ginnastica: era solo virile, pesante, rude Body Building.

La vista e l'udito non erano i soli sensi appagati dagli scenari stile Full Metal Jacket offerti dalle "vecchie" palestre: tralasciando i poco edificanti odori corporali che provenivano dallo spogliatoio, era un vero sollazzo per le narici il profumo dell'olio di mallo che i veri campioni si spalmavano su tutto il corpo per provare le pose prima della gara. Per non parlare del sentore acre di crema depilatoria, vezzo di molti bodybuilders capaci di sollevare centocinquanta chili di panca, ma non di sottoporsi al doloroso rito della ceretta totale. Non era poi raro sentire nell'aria il lezzo inconfondibile di gallina bruciata, segno evidente che qualcuno aveva esagerato con il solarium.

Il vero culturista era anche uomo di poche parole: quasi nessuna durante l'allenamento, quando anche solo una breve chiacchierata avrebbe rovinato la concentrazione e - di conseguenza - l'esito dell'intera seduta. Fosse entrata in palestra Claudia Schiffer, pochi si sarebbero soffermati a guardarla e, comunque, non più di sessanta secondi: il tempo di riposo tra una serie e la successiva. Nello spogliatoio, finita la fatica giornaliera, erano banditi gli argomenti futili e non pertinenti: si parlava di diete, tecniche, gare, nuovi attrezzi e nuove teorie. Chi si azzardava ad asserire che la Golf GTI era una gran macchina e che Naomi Campbell era una gran topa veniva guardato come fosse un extraterrestre e messo alla porta se tirava in ballo lasagne al forno, cotechino e peperonata.

Il concetto di cura del proprio corpo non è morto, anzi si è ampliato ed evoluto, ma entrare in una palestra di fine millennio non può dare le stesse emozioni viscerali che sapevano comunicare le rudi fucine di due o tre lustri fa. Là dove regnava il linoleum verde scuro da officina meccanica ora domina il parquet, tanto caldo e raffinato quanto sensibile agli urti di pesi e manubri, che tanto raffinati non sono; gli stessi dischi oggi sono inguainati in uno spesso strato di gomma, forse per renderli meno antipatici ai parquet di cui sopra e, se mi permettete il paragone, usare quei pesi è come accarezzare una donna che indossi la muta da sub.

Se un tempo la colonna sonora della fatica ginnica era solo ed esclusivamente il Rock, di durezza variabile ma sempre Rock, oggi si deve sorbire quello che passa il convento: musichina da discoteca nel migliore dei casi, ma spesso anche canzoni melodiche che potranno piacere a molti ma non sono esattamente la rampa di lancio dell'adrenalina. Chi ha provato a stare sotto un quintale di panca, con la voce soave di Marco Masini che ti parla della voglia di morire e della malinconia, sa cosa voglio dire. Urlare in palestra non è più consentito, mentre è permesso portarsi dietro il telefonino e mettere al corrente tutti gli astanti dei propri affari; le supergacce puzzolenti e le canottiere da muratore hanno lasciato il posto a scarpine firmate e tutine griffate, col risultato che tutti cercano di non sudare per non rovinare i preziosi capi di vestiario. Ora gli ambienti sono asettici e profumati come ambulatori, illuminati alla perfezione da faretti alogeni che hanno preso il posto dei neonacci traballanti dei tempi andati; alle panche e al castello dello squat si sono aggiunte decine di macchine più o meno utili, poi le cyclette, gli step, i tapis roulant, i simulatori di arrampicata e gli scimmiottatori di sciata, tutto bello e luccicante ma privo del fascino rustico delle vecchie attrezzature.

Una delle cose positive del progresso è che in palestra sono arrivate anche le donne, spesso celate dai muri della sala di aerobica ma sovente pronte a deliziarci le pupille in quello che un tempo era regno indiscusso dei maschietti; la nota negativa è che dove ci sono le donne, in virtù di una imperscrutabile legge naturale, ci sono anche i cacciatori delle medesime, col risultato di trovarsi la palestra piena di idioti che occupano attrezzature, spazio e ossigeno con l'unico scopo di allenare le proprie corde vocali in un primo tempo e l'apparato riproduttivo in seguito.

Ormai i pochi esemplari di Homo Enervit rimasti in attività sono sempre più a disagio negli stessi ambienti che videro la loro nascita ed evoluzione: spesso visti come alieni dalle cosiddette nuove leve, continuano imperterriti la propria faticosa missione, noncuranti delle mode e delle tendenze. In fin dei conti, se i latini dicevano che un corpo sano può contenere una mente sana, è anche vero che un corpo grosso ne può contenere di più.


Dr. Danny Irreparabili.