Chi, come il sottoscritto, ha già compiuto i vent'anni da diversi
giorni, non può non ricordare i fasti della mitica Vespa: correvano
i primi anni ottanta e ogni adolescente fresco di promozione aveva come
obiettivo primario il possesso di uno dei panciuti veicoli di Pontedera.
Il fatto che si trattasse di un cinquantino, una ET3 o un poderoso PX era
una questione di gusti e disponibilità finanziarie, ma solo e soltanto
Vespa doveva essere: oltretutto la concorrenza non faceva granché per
opporsi allo strapotere della casa toscana, proponendo tuttalpiù qualche
Malanca 125 assetato come un Leopard, una paio di modelli Laverda e le prime
Honda costruite in Italia, carine ma con qualche problema di dimensionamento.
C'era chi aspettava otto mesi prima di vedersi consegnato l'ambito scooter,
c'era chi lo comprava di seconda mano pagandolo più del nuovo e c'era
anche chi, non potendosi permettere di meglio, tirava a lucido il vecchio TS
di papà accessoriandolo poi con bauletti, portapacchi e altre
amenità normalmente destinate ai veicoli di ultima generazione.
I vespisti di allora erano degli autentici maniaci della personalizzazione
e, fatte le dovute proporzioni, avevano poco da invidiare agli Harleysti
di oggi: il minimo che si potesse fare per il proprio mezzo era verniciarlo
in un colore il più possibile originale, cosicché non era
difficile vedere vespe rosa, giallo limone, verde metallizzato o viola.
C'era chi installava sullo scooter impianti stereo potentissimi, approfittando
della presenza del bauletto tuttofare che sembrava lì apposta per
accogliere altoparlanti e autoradio, e c'era anche chi esagerava piazzando
sullo sportello del bauletto medesimo piccoli set di luci psichedeliche. Si
sprecavano fendinebbia e stop supplementari, portapacchi e paraurti sembravano
più opere di ingegneria idraulica che accessori per moto, e nel momento
di massimo fulgore si videro in giro anche cupolini aerodinamici e spoiler
deportanti, che per un veicolo tutt'altro che filante come la Vespa erano
una cagata pazzesca.
Il massimo della creatività dei sedicenni dell'epoca veniva però
raggiunto in campo motoristico: grazie al prezioso contributo di case come
Polini e Pinasco, che in quegli anni fatturarono più di Chrysler e
General Motors messe insieme, sotto le paciose forme di ogni Vespa si
nascondevano veri mostri da corsa, potentissimi e velocissimi ma fatalmente
muniti di freni e pneumatici di serie, con immaginabili conseguenze quando
si trattava di rallentare tanto impeto. Quasi tutti i cinquantini erano
equipaggiati con diaboliche trasformazioni che ne raddoppiavano la cilindrata,
le 125 erano in realtà tutte 175 e correva voce che qualche genio della
meccanica fosse riuscito, grazie a complesse alchimie e verosimilmente alcuni
riti voodoo, a trapiantare sulla tranquilla ET3 l'intero gruppo termico di una
Yamaha da cross completo di raffreddamento ad acqua. Ad arricchire il novero
delle leggende metropolitane provvedevano poi il PX motorizzato Husqvarna e
soprattutto la mitica Lambretta bicilindrica che nessuno aveva mai visto in
giro, ma a detta dei soliti bene informati era in grado di raggiungere i
centosettanta chilometri orari e stracciare in accelerazione qualsiasi moto
da enduro: chi fosse il coraggioso munito di sufficiente pelo sullo stomaco
per portare in giro tale mostruosità, resta tuttora un mistero.
Dopo gli eccessi dei primi anni ottanta, il popolo degli scooteristi scese
a più miti consigli, complici il pauroso aumento del prezzo della
benzina e l'introduzione dell'obbligo del casco: si verificò
così l'avvento dei primi scooterini da città, senza cambio
e con la carrozzeria completamente in plastica, che nel giro di poco tempo
fecero dimenticare le pesanti lamiere della madre di tutti gli scooter. Il
perfetto yuppie si poteva riconoscere, oltre che per la ventiquattrore e il
Sole in tasca, per la presenza sotto le sue natiche di un Metropolis nero
che rendeva uno scherzo i critici spostamenti cittadini. I primi veicoli di
questa generazione rispondevano perfettamente al concetto che li aveva
partoriti: semplici, leggeri, poco assetati e soprattutto poco costosi.
Alcuni di essi addirittura esageravano, come il Suzuki Sepia che, costruito
a misura di giapponese somigliava più allo scooter di Barbie che a
un vero mezzo di trasporto: era per contro una buona soluzione alla mancanza
di parcheggi, visto che giunti a destinazione lo si poteva stivare comodamente
nello zaino o nella borsetta. Ma, ahimè, come spesso accade, il tempo
e le esigenze del mercato hanno calcato la loro manona anche sul geniale
scooterino da città: l'escalation delle dimensioni li ha fatti diventare
più ingombranti della stessa Vespa, la ricerca estetica sempre più
spinta ha originato dei piccoli UFO con le ruote (e non a caso uno dei modelli
più recenti si chiama Area 51), per non parlare del prezzo, che si aggira
ormai sui cinque milioni per i cinquantini più dotati: insomma il
più classico dei regali per la promozione è diventato una
delle più frequenti cause di infarto per i papà meno abbienti.
Negli ultimi due lustri un interessante fenomeno di mutazione genetica ha
dato origine a una categoria di mezzi che è possibile definire ibrida,
né moto né scooter ma con le migliori caratteristiche di entrambi
i veicoli. Qualcuno ricorderà il capostipite di questa specie, l'Honda
CN 250 o Spazio che dir si voglia, lungo come un treno e dotato di un curioso
becco che lo rendeva simile a un ornitorinco ma che tanto piacque ai maniaci
dell'ultima moda: è vero, il primo superscooter era più difficile
da manovrare di un camion con rimorchio e occupava lo stesso spazio di una Volvo,
ma l'idea di poter viaggiare a velocità decenti, in perfetta souplesse e
in una protezione quasi automobilistica fece parecchi proseliti. Proseliti che
col tempo sono aumentati, così come i modelli a disposizione: abbandonate
le forme poco aggraziate del progenitore, Honda, Suzuki e Yamaha si sono date
battaglia a suon di accessori, design sinuosi e bauloni ultracapienti, conquistando
una larghissima fetta di mercato nonché il cuore di molti centauri a scapito
delle motociclette tradizionali. E sembra che ora anche il colosso europeo BMW
sia pronto a commercializzare la sua proposta di scooter estremo, con tanto di
tettuccio, tergicristallo e cintura di sicurezza: a questo punto, dico io, se
proprio era necessario aggiungere tante cose al caro vecchio vespino, tanto
valeva togliere due ruote alla Multipla.
Dr. Danny Irreparabili.