Come abbiamo potuto constatare nella puntata precedente, la preistoria del
telequiz fu monopolizzata da quattro presentatori che - per meriti in alcuni
casi e per colpe in un caso specifico - hanno lasciato una traccia indelebile
nella cultura e nel costume nostrano: Corrado, Enzo Tortora, Mario Riva e
Mike Bongiorno. Ho voluto lasciare per ultimo un altro grande personaggio
della TV, che dopo decenni di successi si accontenta oggi di compiere il suo
dovere "Una volta al mese": il che può sembrare poco, ma vorrei
vedere voi - una volta compiuti i sessant'anni - assolvere le vostre incombenze
con una frequenza maggiore. Trattasi ovviamente dell'avvocato Baudo Giuseppe da
Catania, che agli albori della sua carriera si cimentò anche nel telequiz,
conducendo almeno tre trasmissioni: la più fortunata fu "Settevoci",
e chi non è un bambino bene o male se la ricorda; ma per riportare alla mente
le altre due bisogna avere un archivio vasto come un condominio, visto che titoli
come "La freccia d'oro" e "Scassaquindici" non sono certo passati alla storia.
Un programma che invece di storie da raccontare ne ha parecchie e continua
tuttora con grande successo di pubblico, è il mitico "Giochi senza Frontiere",
o meglio "Jeux sans Frontieres", visto che preannunciava con diversi lustri
di anticipo gli accordi di Maastricht e l'uso del francese come lingua ufficiale
della Comunità Europea. A queste piccole Olimpiadi prendevano parte rappresentative
di nove stati europei che si sfidavano in originali giochi di destrezza e abilità;
a dire il vero erano impegnate nel confronto, anche nazioni extracomunitarie, come
la Svizzera: e infatti uno dei quesiti che più turbò la mia infanzia, oltre a
quello della procreazione fu quello della misteriosa sigla CH che contrassegnava
i concorrenti elvetici. Quando all'età di ventisei anni, ho appreso che
l'incomprensibile acronimo stava per Confederation Helvetique, la mia vita
è cambiata di colpo. E cambierà ancora di più quando qualcuno, finalmente,
si deciderà ad illuminarmi sul mistero della procreazione.
A monte delle gare dei Giochi senza Frontiere c'era una mente criminale che
progettava sulla pelle dei poveri concorrenti le torture più inumane:
capitava di vedere disgraziati che, avviluppati in pesanti costumi da pinguino,
dovevano costruire igloo di polistirolo su un pack polare subdolamente cosparso
di acqua saponata; altri, vestiti da ape, appesi a dieci metri di altezza,
dovevano compiere pericolose spole aeree tra l'alveare e dei fioroni di gommapiuma;
ad altri ancora spettava l'ingrato compito di raccattare oggetti dal fondo di una
piscina profonda come la fossa delle Marianne, magari in perfetta tenuta da pesce
palla. Il capitano di ogni squadra aveva la possibilità di giocare un Jolly
prima del gioco nel quale riponeva maggiori speranze di successo: e l'Italia
regolarmente lo sprecava nelle gare più sfigate dove arrivava ultima e
fuori tempo massimo. Tra una manche e l'altra aveva luogo il cosiddetto Fil Rouge,
prova a tempo alla quale partecipava una squadra alla volta e dove l'Italia
(analogamente all'uso del Jolly) era particolarmente negata.
La presentatrice dell'era giurassica (quella in bianco e nero per intenderci)
aveva l'eleganza di una raffinatissima Rosanna Vaudetti, che in tempi più
recenti sarebbe stata sostituita dal più scanzonato Ettore Andenna;
irremovibili invece i due giudici arbitri Gennaro Olivieri e Guido Pancaldi,
ibernati al loro posto da generazioni che a dispetto dei nomi italianissimi
sapevano parlare (e contare alla rovescia) solo in francese. Al termine di
ogni stagione di gare si disputava la finalissima alla quale prendevano parte
le rappresentative meglio qualificate in ciascuna eliminatoria: ed era un
avvenimento seguitissimo, più o meno alla stregua dei Mondiali di calcio,
con la differenza che ad incollarsi allo schermo non erano solo i capifamiglia
ma anche neonati, nonni, gentili signore, cani, gatti e canarini.
In tempi recenti, l'eccesso di offerta di show e varietà ha tolto un
po' di smalto al sempiterno Giochi senza Frontiere; e anche quest'ultimo, dal
canto suo, non si è saputo difendere, perdendo per strada la sua aura di
Grande Avvenimento. Come se non bastasse, la concorrenza ha affilato le armi
proponendo trasmissioni fac-simile ("Bellezze al Bagno" per fare un
esempio) che ne hanno intaccato l'unicità e l'originalità.
Le ultime edizioni, benché proposte nella attraente confezione patinata
cui siamo abituati dall'avvento del colore, hanno perso troppi degli originali
elementi per poter mirare al successo di un tempo: le squadre si sono ridotte di
numero e paesi importanti come Germania e Francia hanno dato forfait; le gare non
si svolgono più a rotazione nelle varie nazioni, ma sempre nello stesso
luogo (nella fattispecie la villa Racconigi, in Piemonte). Ma se me lo permettete,
nulla e nessuno potrà colmare il vuoto lasciato da coloro i quali nei
momenti più emozionanti della tenzone, sottolineavano il pathos col
fischietto e il leggendario "Attention! Trois, Deux, Un!". Mai
più nessuno, nei cuori di noi bambini di cinque lustri fa potrà
sostituire i mitici Gennaro Olivieri e Guido Pancaldi.
Dr. Danny Irreparabili.