Concorso letterario "Racconti d'@more".

Nel febbraio 2006, con una versione bonsai del mio racconto Luca e Cristina, per sempre ho partecipato al concorso letterario "Racconti d'@more", indetto dal Comune di Bellaria in collaborazione con Blu Nautilus. Non è stato semplice portare il testo dalle 1700 parole originali alle 150 previste dal regolamento, ma il mio lavoro è stato premiato con il quinto posto su un novero di oltre 100 partecipanti. Qui sotto puoi leggere la versione ridotta del racconto. Clicca qui se invece vuoi leggere la versione integrale.


Luca e Cristina, per sempre.

Luca era stanco di lei. Bella e vuota, perfetta nel vestire e spoglia nell'animo. Mancava solo mezz'ora all'appuntamento, e il fatto che il mastodontico fuoristrada non volesse saperne di partire lo lasciò indifferente: "Prenderò la Panda di mia sorella, per lasciare Cristina non ho bisogno di tutti quei cavalli!"

Cristina era stanca di lui. Ricco e viziato, non faceva un metro senza il suo macchinone. Mancava solo mezz'ora all'appuntamento, e il fatto che le chiavi di casa fossero scomparse chissà dove non la turbò più di tanto: "Vado così come sono, per lasciare Luca non ho bisogno di vestirmi a festa!"

Quando si incontrarono, trovarono finalmente quello che stavano cercando: non sedili in pelle né radica, non borsette firmate né scarpe costose. Solo una vetusta Panda coi vetri completamente appannati, sul cui parabrezza campeggiava un grande cuore disegnato col dito e la scritta "Luca e Cristina, per sempre".

Memorie Mondiali.

Nel giugno del 2006 ho partecipato all'operazione di memoria collettiva organizzata dagli amici Sarah e Fausto di Radio Zero, con questo racconto in stile Danny Irreparabili della notte del Santiago Bernabeu: 11 luglio 1982, storica data del terzo mondiale vinto dall'Italia.

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Trovare le bandiere dell'Italia nel 1982 non era facile come oggi: se volevi sventolare il tricolore, o lo rubavi al Comune o te lo facevi in casa. Così il giorno prima della partita andai al mercato di Rimini con il mio amico Bruno, alla disperata ricerca di stoffa verde, bianca e rossa che, manco a dirlo, in quei giorni era andata letteralmente a ruba. Visto che c'eravamo decidemmo di esagerare, e il risultato fu una bandierona grande come il soggiorno del mio appartamento. Il pomeriggio dell'11 luglio lo passai al mare, e ricordo benissimo il solido presentimento "Stasera vinciamo 3 a 1", che per un pessimista come me era cosa davvero rara.

L'appuntamento per la partita era sull'enorme terrazzo di casa Perazzini, capace di contenere comodamente i 40 scatenati che avrebbero dato vita all'avvenimento del secolo. Le strade erano completamente deserte, un silenzio irreale permeava l'atmosfera, dalle case solo l'audio dei televisori e qualche timido coro propiziatorio. Non avevamo tenuto presente che il sole sarebbe tramontato molto tardi, quindi i primi venti minuti di gioco risultarono del tutto invisibili. Si cominciò a vedere qualcosa quando Cabrini mise il pallone sul dischetto per calciare il rigore, che sbagliò grazie a una ciabattata che non vedevo dai tempi dell'oratorio e del Super Tele.

I tedeschi erano stanchi per via della terribile semifinale con la Francia; noi avevamo una marcia in più e si vedeva: le sfide con Argentina e Brasile ci avevano esaltati, la semifinale con la Polonia era stata una passeggiata, tutti erano in forma superlativa e Rossi era già diventato per tutti "Pablito", la leggenda vivente del Mundial. Nonostante tutto, il primo tempo finì a reti inviolate. Il bandierone giaceva arrotolato in un angolo, Bruno ed io già ci pentivamo di aver speso tutti quei soldi invano. Durante l'intervallo c'era chi inveiva contro Cabrini, chi moccolava, chi invocava sconosciute divinità, chi stappava birre a ripetizione e chi, come me, cominciava a dubitare della validità delle premonizioni.

Ma nei successivi 45 minuti la Storia cambiò. La Germania, incapace di rendersi veramente pericolosa, cominciò a sentire tutta la fatica accumulata; Karl Heinz Rummenigge fu letteralmente cancellato dal diciannovenne Bergomi, Bruno Conti imperversava sulla fascia, Cabrini era tornato in sè dopo lo shock del rigore fallito, Oriali combatteva come un gladiatore, Zoff era determinato e sicuro a dispetto dei suoi 40 anni, Rossi sembrava un falco pronto a ghermire la preda. Cosa che avvenne da lì a poco: una punizione battuta al volo, un cross fulmineo e la palla gonfiava la rete di Schumacher. Pablito aveva colpito. La casa tremò, il mio amico Gabriele si inginocchiò davanti alla TV, la bandiera abbandonò il suo letargo per mostrare i suoi 18 metri quadri di splendore. Urla, abbracci, birra, gioia: eravamo già stremati e il bello doveva ancora venire.

Tardelli, dal limite dell'area, Tardelli, Tardelli... GOOOOOOOOOL!!! La meraviglia, lo stupore, il grido di Tardelli che sarebbe diventato l'icona della vittoria e che sembrava uno sbadiglio di fronte ai nostri urli; contro una Germania così modesta il due a zero poteva sembrare una sicurezza, ma ancora troppi minuti ci separavano dalla fine della sofferenza: mai sottovalutare i tedeschi e la loro forza d'animo, mai vendere la pelle dell'orso prima di averlo catturato.

Bearzot aveva ormai consumato al sua leggendaria pipa, e noi le nostre unghie, quando anche Spillo Altobelli, che era subentrato all'infortunato Graziani, imprimeva il suo sigillo al Trionfo: "e sono tre!" gridava Martellini, "non ci prendono più!" sentenziava il presidente Pertini, "Adesso è fatta davvero" pensavamo noi, ancora non al corrente del fatto che si può perdere anche con tre gol di vantaggio, come avrebbe sperimentato il Milan molti anni più tardi. Ma quella del Bernabeu era un'altra storia. Gli azzurri erano padroni del campo, delle emozioni, della fortuna, del mondo intero: il gol della bandiera di Breitner non riuscì neanche a preoccuparci, tanto eravamo immersi nell'estasi della Vittoria. La vera esplosione ci fu quando l'arbitro brasiliano Coelho fermò il pallone durante il gioco e lo sollevò al cielo, simbolo e suggello della conquista del Paradiso: "Campioni del mondo! Campioni del mondo! Campioni del mondo!"

Da quel momento solo pazzia. Pura, vera, incontenibile pazzia. E mentre Zoff sollevava al cielo la coppa, noi eravamo già a bordo del camioncino Fiat 238 di Silvano detto "Palon", addobbato come un carro di carnevale. Non tutti, non ci saremmo stati in quaranta, ma una buona ventina di noi riempiva il cassone con buona pace delle povere sospensioni. Il lungomare di Rimini era una cosa che non si può descrivere: tutti i 120.000 riminesi, più tutti i turisti italiani in vacanza, più tutti i turisti stranieri non tedeschi riversati nelle strade. Vespe tricolori, Fiat 500 tricolori, facce dipinte, sudore, canti, balli, clacson, trombe... tutta la gioia repressa in 44 anni esplodeva ora in una festa che mai avevo visto prima, e che mai mi capitò di vedere in seguito. Le fontane erano piene di gente e di schiuma, i televisori nei bar mostravano solo e soltanto scene del Trionfo, tutti all'improvviso ricordavano e cantavano a squarciagola l'Inno di Mameli.

Sono stato fortunato, ho vissuto quella notte magica e bellissima a 19 anni. Una di quelle esperienze che rimangono dentro per la vita, che come la cometa di Halley puoi vedere una, al massimo due volte in tutta l'esistenza... Un marchio indelebile che non si cancella, che ti rende orgoglioso di essere italiano, che ti fa venire i brividi e ti strappa qualche lacrima quando, alla radio o in TV, senti Nando Martellini gridare per tre volte "Campioni del mondo!"