Cara TV (terza parte) - La pubblicità

Non si può parlare di pubblicità in televisione senza cominciare da Carosello. E se questa affermazione potrà lasciare perplessi i ventenni di oggi, chi ha un paio di lustri in più non avrà difficoltà a chiudere gli occhi e lasciarsi andare ai beati ricordi della propria infanzia. In quegli anni in bianco e nero i programmi per ragazzi venivano propinati letteralmente col contagocce: un po' di Giocagiò, un pizzico di Chissà chi lo sa, Gustavo e Braccobaldo la domenica, lo Zecchino d'Oro una volta l'anno. In compenso gli annunci pubblicitari erano ben altra cosa rispetto ad oggi: uno spot (chiamiamolo così) durava anche cinque minuti, era quasi sempre un intero sketch comico o - ancora meglio - un cartone animato, dove il messaggio pubblicitario era proposto solo alla fine e risultava totalmente marginale. Cinque o sei di questi spettacolini andavano a formare l'imperdibile appuntamento di Carosello, preceduto dalla celebre sigletta in stile Vomero/Mergellina e dal severo ammonimento dei genitori "Dopo Carosello subito a letto!".

Sarebbe un sacrilegio parlare di cartoon pubblicitari senza citare Calimero Pulcino Nero, leggendaria creatura dei fratelli Pagot, costantemente alle prese con problemi di emarginazione dovuti al colore del suo piumaggio. Solo che, a differenza dei senegalesi, il piccolo gallinaceo veniva sistematicamente aiutato dalla bella olandesina che lo immergeva nel miracoloso detersivo Ava restituendolo all'antico candore. Né posso dimenticare lo spot delle pentole Lagostina, che diede a un altro grande cartoonist italiano un successo difficile da ottenere da altri canali: l'autore era Osvaldo Cavandoli, e il personaggio era la mitica Linea, un omino stilizzatissimo e molto portato al litigio che trascorreva l'intero spot protestando col disegnatore in un curioso linguaggio a metà tra il romanesco e il rap. E chi se lo ricorda il Gigante Buono della Ferrero, che doveva fare gli straordinari per salvare gli abitanti di un paesino dalle angherie di Jo Condor, sinistro rapace dal look vagamente nazista? E i tre pirati pasticcioni delle Amarene Fabbri? Uno combinava i guai, uno - in dialetto siciliano - implorava di poterlo torturare e l'altro - con inflessione piemontese - placava gli animi esclamando: "Cosa vuoi torturare, porta pazienza, neh!". Un vero spasso.

Altri personaggi, forse meno amati, ma che comunque hanno lasciato un segno indelebile nella memoria, erano la Maria Rosa del lievito Bertolini, El Merendero, Susanna tutta Panna (che a sentirlo oggi sembra il titolo di un film porno) e la microband dei biscotti Doria, che al grido di "Taca Banda" anticipava di diversi anni le performances di Otto & Barnelli. E poi c'era un altro genere, parallelo a quello del cartone, di cui ero grande estimatore: i pupazzi animati con riferimento particolare ai coni messicani del Caffè Paulista. Protagonista assoluta dello spot era l'avvenente Carmencita, dai lunghi capelli neri raccolti in due sensuali treccione, che però perdeva qualche punto a causa delle misure (30-60-90) che la rendevano più simile a una ricevuta bancaria che a una Vamp. Esistevano anche - presumibilmente creati dalla stessa mente - gli abitanti del pianeta Papalla, sferici testimonial della Philco, che ottennero scarso successo a causa della loro inguaribile propensione a raccontare palle.

Eravamo negli anni '70, e nelle sale cinematografiche imperavano i western all'italiana: grazie a Sergio Leone, ma anche a Bud Spencer, Terence Hill e Giuliano Gemma, non passava mese senza che uscisse un Trinità, un Dollaro o un Sartana. Sulla scia di questa moda, anche il mondo della pubblicità volle dare il suo contributo, e lo fece con due esempi memorabili: nel primo un eroico sceriffo riversava i suoi meriti sulla sua buona stella, che altro non era se non quella dei salumi Negroni. L'altro, giocato su effetti optical e rime agghiaccianti, era quello della carne in scatola Montana, aveva come personaggio principale un pistolero dall'originalissimo nome di Gringo e finiva sempre con la stessa frase: "È mezzogiorno di cuoco!".

Altre pubblicità, che non potevano contare sull'apporto spettacolare di eroi reali o disegnati, sono comunque riuscite a passare alla storia grazie a trovate magari idiote, ma che reiterate negli anni sono entrate nell'immaginario collettivo degli italiani diventando un vero fenomeno di costume: è il caso del Dixan e del suo prezioso fustino che nessuna massaia avrebbe mai osato scambiare con i due disperatamente proposti da Paolo Ferrari. È anche il caso del buon Ernesto Calindri, grande attore di teatro che però non avrebbe trovato il consenso che meritava se non avesse passato metà della sua vita bevendo Cynar in mezzo alla strada. Stessa sorte toccò anche a Franco Cerri, chitarrista di fama mondiale, costretto dagli eventi a diventare l'uomo in ammollo del detersivo Bio Presto; e pure a Nino Castelnuovo, trasformatosi anch'egli da artista a recordman europeo di salto della staccionata. Ma non solo gli uomini furono vittime della macchina pubblicitaria, mostro vorace in grado di ingoiare capolavori e di restituirli in comodi tetrapak da 125 ml: basti pensare alle splendide note del Risveglio, tramutate per sempre nella cultura popolare nella colonna sonora dell'olio Sasso, con tanto di grido di battaglia "la pancia non c'è più!". O alla melodia immortale resa pubblica dalla Vecchia Romagna: melodia che, nata per diventare un capolavoro dalla musica classica, al massimo si poteva limitare "a creare l'atmosfera".

Lungi dall'essere esaurito, il tema della pubblicità in TV riprenderà nel prossimo numero: analizzeremo l'evoluzione dello spot nel periodo post-carosello, prenderemo in esame la mutazione di contenuti e il progressivo restringimento dei tempi, fino a giungere agli odierni 5 secondi propinati durante gli eventi sportivi. Ma soprattutto ci andremo a soffermare sui tabù progressivamente abbattuti dai messaggi pubblicitari, l'ultimo dei quali (mors tua, vita mea) è oggetto di vivaci polemiche proprio in questi giorni.

Ci vediamo dopo i consigli per gli acquisti.


Dr. Danny Irreparabili.